I Quaderni della Comunità n° 1/2010
Comunità S. Volto di Gesù
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Come invitare i sofferenti a rivolgersi al Signore
(Padre Maurizio Napoli)
INTRODUZIONE |
► Il tema
Il tema di questo incontro è stato ispirato dal racconto della malattia di Ezechia, re di Giuda, che si legge in Isaia 38,1-22. Il profeta viene inviato al re da Dio, per annunciargli che morirà. Questo annuncio porterà il re a volgere la sua preghiera a Dio che gli concederà ancora quindici anni di vita.
Immagino che leggendo il racconto la riflessione sia stata: il Signore accoglie sempre le preghiere dei sofferenti ma non sempre il sofferente si rivolge a Lui.
Da qui la domanda: Come invitare i sofferenti a rivolgersi al Signore?
Dovrebbe essere immediato il richiamo a un principio base del discepolato:
“Se vuoi sapere come devi comportarti nella vita guarda come si è comportato Gesù”.
Applicandolo alla domanda di prima, ne traiamo l'idea che se si vuole comprendere come avvicinare i sofferenti al Signore bisogna guardare a come Lui li ha avvicinati.
Se vi ricordate, lo dicevamo già all'inizio del nostro percorso e questa osservazione ci ha portato a fare tutta una serie di specificazioni sul ministero di guarigione di Gesù.
Cercheremo ora di sottolineare ancora altri aspetti del suo comportamento, a partire da una breve introduzione preliminare.
► Il metodo
Cristo, vero Dio e vero uomo, per fare arrivare agli uomini l'amore del Padre, ha agito in modo umano e divino. È sceso al nostro livello, assumendo senza riserve la nostra natura, fatta eccezione per il peccato, e l'ha elevata, con il suo sacrificio sulla croce, fino alla dignità della natura divina.
Per imparare a condurre al Signore i suoi figli è necessario, dunque, ricorrere al Vangelo, dove è possibile contemplare l'amore che Cristo ha manifestato ad essi in tutta la sua vita.
Riempie di gioia considerare che Egli ha voluto essere pienamente uomo, come noi, ma che in Lui è Dio che ama con un cuore umano.
Con autorità divina e con affetto umano, il Signore accoglie, innanzitutto, gli Apostoli; ma manifesta, in egual misura, la stessa delicatezza e affetto a tutti: alle pie donne e alle meno pie; a un rappresentante del Sinedrio come Nicodemo e a un pubblicano come Zaccheo; a malati e sani; a dottori della legge e a pagani; ai singoli e alle folle.
I Vangeli ci dicono che Gesù non aveva dove posare il capo, ma ci dicono anche che aveva degli amici che amava e stimava, amici desiderosi di accoglierlo a casa loro.
Ci parlano del suo dolore per coloro che lo ignoravano; della sua protesta di fronte all'ipocrisia; del suo pianto per la morte di Lazzaro; della sua compassione verso le sofferenze umane; dell'ira per i mercanti che profanavano il tempio...
Ognuno di questi suoi sentimenti e gesti umani è anche divino, perché Cristo è Dio fatto uomo.
E nella sua umanità ci fa conoscere la sua divinità.
Ricordando la delicatezza umana di Cristo, che spende la sua vita al servizio degli altri, facciamo, pertanto, molto di più che scoprire un possibile modo di comportarci. Scopriamo chi è Dio. Ogni azione di Cristo ha un valore trascendente: ci fa conoscere il modo di essere di Dio e ci invita a credere al suo disegno d'amore, entro il quale ci ha creati per portarci, alla fine, nella sua intimità.
Pregando il Padre, Gesù esclama: “Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te” (Gv 17,6-7).
Il modo di agire di Gesù non si limita a qualche parola o a qualche gesto esteriore: Egli prende sul serio l'uomo e vuole fargli conoscere il senso e il destino divino della sua vita.
Per questo è esigente con tutti: sa che solo a certe condizioni è possibile realizzare la volontà del Padre. Così, mette ciascuno di fronte ai propri doveri; scuote i suoi ascoltatori dalla comodità e dal conformismo; gli indica la ripida via da percorrere per giungere alla conoscenza del Dio tre volte santo che è anche loro Padre.
A. GESÙ E I SOFFERENTI |
Gesù riuscì a trovare sempre un punto di aggancio con i suoi interlocutori, per potere incontrare profondamente chiunque; presentando lo stesso messaggio ma adattandolo alla persona che lo ascoltava.
Nei vangeli si evidenzia anche, con chiarezza, che Gesù è stato a contatto, e non poco, col mondo della sofferenza.
► Gesù era sempre circondato da sofferenti e da malati
Fermiamoci un momento su questo punto e leggiamo, a riguardo, alcuni passaggi evangelici:
“Gesù andava intorno per tutta la Galilea… predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità del popolo” (Mt 4,23).
“Tutta la folla cercava di toccarlo perché usciva da lui una forza che sanava tutti” (Lc 6,19);
“Al calar del sole tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva” (Lc 4,40). Ecc...
Dunque: un mondo di malati circondava ovunque Gesù.
Sono tanti e non gli danno tregua: lebbrosi, paralitici, zoppi, idropici, ciechi, sordi, muti, storpi, indemoniati… Malati nel corpo e nello spirito.
Sono insistenti, petulanti, ossessivi. Non Lo lasciano in pace. Ciascuno vuole poterlo avere per sé, per interessarlo al suo particolare problema.
► Leggiamo che con essi si comportava con:
- un grande senso di pietà e di compassione;
- un atteggiamento di simpatia, e non di rifiuto;
- un trattamento uguale per tutti, senza distinzioni;
- un tocco personale d'amore, che si traduceva in gesti di tenerezza;
- interventi anche straordinari, ma non in tutti i casi.
Mai ebbe reazioni nervose; mai parole meno che dolci e gradevoli; mai processi alle intenzioni; mai ricerche di colpe e responsabilità.
Per tutti dimostrava: interessamento, rispetto, disponibilità.
A Pietro che domanda: “Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?”, Gesù, con una risposta che preclude la via a ogni discussione, dice: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio” (Gv 9,2-3).
► A volte compiva miracoli
Non sempre perché, evidentemente, non era questo lo scopo della sua missione.
I miracoli compiuti, (pochi in confronto alle richieste) non sono direttamente finalizzati soltanto a guarire qualche malato ma, soprattutto, a dare autorevolezza e sostegno alla sua Persona e al suo messaggio.
Attraverso i miracoli Gesù vuole dimostrare di essere venuto per salvare gli uomini e non per guarirli dai loro malanni.
Gesù si presenta come il Salvatore dell’uomo nella sua interezza, anima e corpo; dell’uomo bisognoso di essere liberato dal peccato e di essere reso partecipe della vita divina; dell’uomo destinato alla vita eterna in comunione d'amore con Dio Padre.
La salute fisica rientra certamente nel piano della salvezza globale dell’uomo, ma resta un aspetto limitato e transitorio.
► A tutti però dà una cura su misura che è la cura dello Spirito
L’espressione “li curava tutti” va presa in senso spirituale e morale: offriva una cura su misura per tutti e per ciascuno, comunicata attraverso quel tocco personale rivolto direttamente a chi lo cercava.
Una cura che aiutava i sofferenti a comprendere il significato e il valore del dolore e a sollevarli nel loro arduo compito di portare la croce.
B. L'INCONTRO DI GESÙ CON LE ALTRE CATEGORIE DI PERSONE |
Ma siccome Gesù non ha incontrato solo sofferenti a cui donare il suo messaggio, penso sia importante evidenziare il suo comportamento anche in altre circostanze, per capire come Egli raggiungeva il cuore di ciascuno.
Mettiamo ancora a fuoco, molto brevemente, alcune categorie di persone, di cui i vangeli raccontano l'incontro con Cristo.
► Scettici e increduli
Questa prima tipologia di persone include tutti coloro che non credono e che mettono in dubbio qualunque affermazione fatta circa Gesù e la salvezza. Spesso non credono nemmeno all’autorità della bibbia ed è, dunque, molto difficile parlare al loro cuore.
Gesù usò con loro un metodo pratico, come leggiamo in Giovanni 10,37-38:
“Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre”.
Dunque, Gesù non portò loro nessun discorso teologico, ma invitò queste persone a guardare al suo operato; contrappose al dubbio la certezza di fatti evidenti.
Nel parlare a persone scettiche o incredule possiamo offrirgli una possibilità di dialogo dimostrando, con l'esperienza di vita, che Cristo è una realtà.
La chiave per parlare a questi cuori è la testimonianza personale.
► Brave persone
A questa categoria appartengono tutte quelle persone che conducono una vita normale; che sono socialmente e moralmente sane. Rappresenta, probabilmente, la categoria più vasta.
Questi individui, proprio per la loro rispettabilità sociale e morale, pensano di essere apposto ma, in modo più o meno consapevole, proprio questa convinzione li rende impermeabili alla salvezza di Cristo.
In Marco 10,17-22 leggiamo dell'incontro di Gesù con una di queste brave persone:
“Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna? Gesù gli disse: perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre. Egli allora gli disse: Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza. Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi. Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni”.
Come si può notare, Gesù considera positivamente il grado di moralità degli uomini; il Signore non disprezza le persone oneste, anzi le ama. Tuttavia, a prescindere da quanto bene facesse quest'uomo, rispettando la legge e i comandamenti, non poteva concedergli la salvezza, e questo fu il punto che Gesù toccò parlando con lui.
L’unica cosa che conduce al cielo è Gesù. Bisogna dare il cuore a Lui e, poi, seguirlo.
Dunque, la chiave per parlare a questi cuori è fargli comprendere che il Signore apprezza il loro comportamento e la loro vita ma che, per la salvezza, è necessario un passo in avanti: dare il proprio cuore a Cristo.
► Religiosi sinceri
Questa categoria di persone è molto simile a quella precedente. Molti credono in modo sincero e vero, proprio come al tempo di Gesù; ma, malgrado la loro buona fede, fraintendono alcune verità rivelate da Dio.
Gesù incontrò uno di questi religiosi sinceri e il loro dialogo è riportato in Marco 12,28-34:
“Uno degli scribi che li aveva uditi discutere, visto come aveva loro ben risposto gli domandò: Qual è il primo di tutti i comandamenti? Gesù rispose: Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi. Allora lo scriba gli disse: Hai detto bene, Maestro, è secondo verità che Egli è unico e non v'è altri all'infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici. Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: Non sei lontano dal regno di Dio. E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo”.
Quando quest'uomo interrogò Gesù, Egli non si impegnò in discussioni inutili sui punti controversi, ma cercò i punti d’incontro.
Non provocò un dibattito sulle differenze ma spostò l’obiettivo della discussione su un punto certo e fondamentale: adorare e amare Dio con tutto se stessi e amare così anche il prossimo.
Dunque, non è discutere delle differenze la chiave per raggiungere il cuore di persone religiose e sincere, ma è spostare il dialogo su Gesù Cristo e sulla necessità di essere in comunione con Lui, pregando e leggendo la sua parola per conoscerlo e imparare a vivere di essa.
► Peccatori sofferenti
In questa categoria rientrano tutte quelle persone che a causa di sbagli ed errori nella loro vita vivono una situazione difficile, piena di sofferenza e spesso anche di rimorso per gli errori commessi.
Troviamo un incontro del genere nel vangelo di Luca 7,37-38.48:
“Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato… Poi Gesù disse alla donna: ti sono perdonati i tuoi peccati”.
Il Signore accorda sempre il suo perdono e permette che queste persone sofferenti possano ricominciare una nuova vita. Dunque, la chiave per parlare a tali sofferenti è presentargli Gesù come l'unico capace di perdonare le loro colpe e di dare un futuro di pace e gioia alla loro vita.
► Peccatori con riserve
In questa categoria rientrano, invece, tutte quelle persone che hanno delle riserve nell’abbandonare il peccato. Comprendono che la loro condizione è sbagliata, per i canoni di Dio, ma non giudicano tanto grave permettersi qualche trasgressione.
Troviamo un gruppo di persone simili in Giovanni 8,31-36:
“Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. Gli risposero: Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi? Gesù rispose: In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero”.
Gesù parlò con molta franchezza a queste persone che, pur avendo creduto in Lui, non avevano ben compreso l’importanza di praticare fino in fondo ciò in cui dicevano di credere.
La chiave per parlare a persone simili è fargli comprendere che la vera libertà e la vera gioia nella vita si raggiungono solo se non si è dominati o condizionati da alcuna schiavitù di peccato.
Qualunque condizione diversa dall’essere con Cristo è una condizione di schiavitù, perché ogni peccato, grande o piccolo che sia, rende schiavi.
► Vite distrutte
In questa categoria rientrano tutte quelle persone cariche di sofferenza, che vivono giornalmente una condizione di dolore estremo, per vari motivi, tra cui certo anche la malattia, e che sono ormai senza alcuna speranza o gioia.
Parlare a questi individui è particolarmente difficile perché spesso danno la colpa della loro condizione proprio al Signore.
Gesù incontrò alcuni in queste condizioni, come leggiamo, ad esempio, in Luca 7,11-15:
“In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: Non piangere! E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: Giovinetto, dico a te, alzati! Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre”.
La prima cosa importante è comprendere che il Signore ebbe compassione di lei. Gesù non era un santone lontano e distaccato dai problemi della gente; li comprendeva, come comprese la profonda sofferenza di quella donna, per la quale la sua prima parola fu: “non piangere”. La chiave per parlare a questi cuori spezzati, allora, è portargli una parola di speranza, condita di comprensione e partecipazione di cuore alle loro sofferenze. Questo può rendere più facile il passaggio da noi a Gesù, per mostrare che Egli è interessato alla loro sofferenza; ne prova compassione e comprende ogni dolore. Lui, che ha accettato di essere l'uomo dei dolori, saprà confortare chi è tanto provato dalla vita.
► Persone sole
Questa categoria di persone è molto frequente nella nostra società. Uomini e donne che vivono accanto a tanta gente, ma che sono sole, che non hanno nessuno col quale parlare, condividere le proprie sofferenze o le proprie ansie. Tanta gente nelle nostre città vive così, in mezzo a migliaia di persone.
Gesù incontrò un uomo in questa condizione, come racconta Giovanni 5,2-9:
“V'è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzata, con cinque portici, sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l'acqua; il primo ad entrarvi dopo l'agitazione dell'acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto. Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: Vuoi guarire? Gli rispose il malato: Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me. Gesù gli disse: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina. E sull'istante quell'uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare”.
Gesù va incontro ai cuori soli che hanno bisogno di Lui.
Perciò, la parola da portare in questi casi deve evidenziare la volontà di salvezza del Signore.
Egli è colui che vuole e può occuparsi di loro. È il loro migliore amico, interessato ad ascoltarli, a sentire quello che hanno da dire; che desidera rompere la loro solitudine.
TRAIAMO LE NOSTRE CONCLUSIONI |
► Essere Cristo nel mondo
Abbiamo scorso alcuni episodi dei Vangeli per contemplare il rapporto di Gesù con gli uomini e imparare, anche noi, a condurre a Cristo i nostri fratelli.
L'ultimo e più importante insegnamento è che, per raggiungere i cuori spezzati o provati dalla vita, non basta essere i portavoce di Cristo; bisogna incarnarne i sentimenti; incarnare Cristo stesso.
E questa lezione va applicata alla vita quotidiana perché è lì che Dio ci chiama a manifestarlo al mondo: attraverso i fatti della vita di ogni giorno; le sofferenze e le gioie delle persone con cui viviamo; le preoccupazioni umane dei nostri compagni; le cose spicciole della vita di famiglia.
Quando riusciamo a vive cristianamente fra i nostri simili, in maniera non appariscente ma coerente con la fede, diventiamo Cristo presente fra gli uomini.
Dio permette che i tesori della sua potenza divina siano portati in vasi di argilla, purché li facciamo conoscere, anche se mescolati alle nostre debolezze umane.
L'esperienza del peccato, però, non deve farci dubitare della nostra missione.
Certamente, i nostri peccati possono rendere difficile agli altri riconoscere Cristo in noi; dobbiamo, perciò, affrontare coraggiosamente le nostre miserie personali, cercando di purificarci; sapendo che Dio non ci ha promesso la vittoria assoluta sul male in questa vita ma che, comunque, ci chiede di lottare.
Il potere di Dio si manifesta nella nostra debolezza, e ci spinge a lottare e a combattere contro i nostri difetti, al di là dei risultati.
La vita cristiana è un continuo cominciare e ricominciare, rinnovandosi ogni giorno.
In questo modo, malgrado le nostre miserie, anzi, attraverso le nostre miserie e la nostra vita di uomini fatti di carne e di terra, Cristo si manifesta: nel nostro sforzo di essere migliori; di realizzare un amore che aspira a essere puro; di dominare l'egoismo; di donarci pienamente agli altri, facendo della nostra esistenza un costante servizio d'amore.
► Far conoscere l'amore
Comportandoci così rendiamo certamente presente Cristo in mezzo agli uomini, essendo Cristo noi stessi. L'intento, però, non è solo quello di vivere noi l'amore, bensì di far conoscere l'amore di Dio anche ad altri, attraverso il nostro amore umano.
Gesù ha concepito tutta la sua vita come una rivelazione d'amore.
Seguendo quest'insegnamento, l'apostolo Giovanni invita i cristiani a manifestare con le loro opere l'amore di Dio che hanno conosciuto: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (Gv 4,7-11).
È necessario che la nostra fede sia viva, che ci porti realmente a credere in Dio e a mantenere un costante dialogo con Lui. La vita cristiana deve essere vissuta così, e questo è possibile solo attraverso una preghiera incessante, sforzandoci di stare alla presenza di Dio dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina.
È questa la condizione per sperimentare l'efficacia nel nostro apostolato.
► Un ministero di consolazione
Qualunque sia la condizione in cui si trovano i nostri fratelli, non possiamo cedere alla tentazione di fuggire, negando loro la possibilità di essere raggiunti dalla consolazione di Cristo. Se abbiamo la certezza che Gesù è il Salvatore non aspettiamo a portagli questo lieto messaggio.
Da questo annuncio può dipendere la loro salvezza.
In tal senso noi siamo chiamati a un vero e proprio ministero di consolazione.
Nella visione dei profeti la consolazione è un evento di grazia che ci libera dalla prova e ci introduce in una nuova era di pace e di gioia (cfr Is 40,1s; Mt 5,5).
Nella visione di Gesù, come abbiamo visto, la consolazione è una sua prerogativa che ci viene trasmessa col dono dello Spirito, che ci consola nelle prove e accende in noi una speranza che non delude.
Così, la consolazione cristiana diventa conforto, incoraggiamento, esortazione, speranza, per la presenza operante dello Spirito Consolatore: “Pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi.” (Gv 14,16-17).
La consolazione per se stessi e la capacità di consolare altri, non si riceve passivamente, ma fiorisce dal dono della fede e della fortezza, che ci abilitano ad affrontare quel combattimento spirituale che ci consente di essere fedeli a Cristo sino alla fine. E la fedeltà è fuoco che non si spegne (come il roveto ardente, simbolo dell’Amore fedele che è Dio); è perseveranza in una scelta di vita.
Da qui il fervore che rende impossibile quella tiepidezza che fa vomitare Dio (Ap 3,16) e che lascia indifferenti gli uomini. Dobbiamo vigilare per non cedere alla tiepidezza che è una contro testimonianza, più dannosa della mancanza di testimonianza. Si può definirla: l’ateismo dei credenti che dichiarano Dio inutile; l’ateismo di coloro che credono ma non praticano.
La perseveranza che fa di noi dei testimoni credibili, nasce dall’amore che risponde all’amore, mediante una fedeltà che realizza, un giorno dopo l'altro, una scelta dopo l'altra, il nostro rapporto personale, emozionante, con Dio Padre in Cristo per opera dello Spirito Santo.
Impossibile vivere da veri credenti ed essere testimoni senza affrontare, ogni giorno, la fatica della perseveranza nella fede.
► Testimoni dell'esperienza di Gesù (il consolatore) nello Spirito Santo (l'altro consolatore)
Una cosa sola va ricercata con tutte le forze: essere ed agire nello Spirito Santo.
Gesù disse ai suoi discepoli, tristi per l’annuncio della sua ascensione al cielo: “Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre... È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò” (Gv 14,16.16,7).
E Paolo, ai cristiani di Efeso scriveva: “Attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti... Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi” (Ef 6,10-12.18).
Il nostro impegno dev'essere consistente e sincero e concentrarsi in un'unica direzione: proclamare la parola di Dio; testimoniare il suo amore per l’uomo; mostrare la fonte della nostra speranza. Proclamiamo che Gesù è il Signore, diventando “presenze positive” in mezzo agli uomini. È urgente e importante la realizzazione di questa presenza positiva nel mondo, come il sapere dare ragione della propria speranza (1Pt 3,15), con discrezione, dolcezza e rispetto, nel momento e nel modo opportuno, cioè con discernimento.
Ed è altrettanto importante che non dimentichiamo mai alcuni riferimenti evangelici:
- il regno di Dio non è di questo mondo (cfr Gv 18,36; Rm 14,17);
- non si può servire Dio e mammona (cfr Mt 6,24);
- senza Cristo non possiamo far nulla (cfr Gv 15,5; Mt 15,13);
- dobbiamo compiere le opere previste da Dio (cfr Ef 2,10) non, genericamente, opere buone;
- dai frutti si riconosce l’albero (cfr Mt 7,20).
E, in ultimo, aggiungiamo il principio cardine di ogni nostro intervento a favore del nostro prossimo:
“Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio” (2Cor 1,3-4).
È vero, infatti, alla fine, che l'efficacia dei nostri interventi risiede nell'esperienza vissuta, da noi per primi, e che ci da la giusta capacità di convincimento dell'amore misericordioso di Dio.
Ed è questo che ci consente di essere strumenti di consolazione per gli altri e di sapere condurre ogni persona a Gesù, che crediamo sia, proprio perché lo abbiamo sperimentato, l'unico vero consolatore.