(pro - manoscritto ad uso interno della comunità)

I Quaderni della Comunità n° 3/2009

 

Comunità  S. Volto  di Gesù

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È NORMALE AVERE PROBLEMI NELLA VITA CRISTIANA?

 

 

Qual è la vita cristiana normale?

E’ una vita che include lotte, problemi e avvenimenti che sembrano intaccare la gioia che dovremmo trovare in Cristo?

E’ normale avere problemi che derivano da desideri naturali come il cibo o la sessualità o lottare contro pensieri incontrollati o mancanza di disciplina?

 

E’ così comune essere sopraffatti da agitazioni, ferite del passato, da offese fresche (dopo la conversione), da ricordi di fallimenti passati, da sensi di inferiorità, insicurezze e perfino dal timore di essere rifiutati da Dio o ancor di più servirlo? Succede spesso di combattere per le finanze, la salute, per la presenza di un compagno di stanza odioso, per il coniuge o per un genitore pesante? Sono domande cruciali per due motivi essenziali.

 

Prima di tutto perché combattevamo già per queste cose prima di convertirci, quindi non avremmo mai immaginato di dover continuare a combatterle anche dopo aver conosciuto il Signore. E poi perché molti autori, relatori e guide cristiane hanno fatto credere che questo tipo di esperienza non faccia parte della vita cristiana normale, ma riveli, piuttosto, le carenze che derivano da una fede di serie B.

 

Avere problemi è naturale

Mentre cerchiamo di comprendere il perché delle carenze della nostra vita, può capitarci di sentire testimonianze di cristiani vittoriosi che di rado parlano di qualche esperienza negativa vissuta dopo la conversione. La vita di tali credenti sembra, di solito, essere stata sempre una vita di vittoria, di lode e di potenza straordinaria e salute perfetta!

 

Con il passare del tempo, molti di noi arrivano ad accettare il fatto di essere credenti anormali (serie B): deboli, poca fede, non saldi sulle basi sulle quali si dovrebbe essere fondati e privi dell’abilità, dell’intelligenza e della disciplina necessarie per vivere la vita vittoriosa che libera da ogni problema. E allora o rinunciamo o cominciamo a cercare di capire quale sia il metodo che possa metterci in  grado di vivere una vita vittoriosa completa come quella che sperimentano certi cristiani.

 

Coloro che hanno problemi, però, possono sentirsi rincuorati perché, nel cammino con il Signore e nella mia interazione con varie persone, ho scoperto che i problemi sono un elemento naturale della vita del credente.

 

La vita cristiana normale non è esente da lotte, non è libera da fallimenti e non è una vita con le emozioni continuamente alle stelle. Anzi, la vita è piena di avversità hanno uno scopo.

 

Vediamo che cosa dice Paolo apostolo: “ Poiché io ritengo che Dio abbia messo in mostra noi, gli apostoli, ultimi fra tutti, come uomini condannati a morte; poiché siamo diventati uno spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. Noi siamo pazzi a causa di Cristo, ma voi siete sapienti in Cristo; noi siamo deboli, ma voi siete forti; voi siete onorati, ma noi disprezzati. Fino a questo momento, noi abbiamo fame e sete. Siamo nudi, schiaffeggiati e senza dimora, e ci affatichiamo lavorando con le nostre mani; ingiuriati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; diffamati, esortiamo; siamo diventati, e siamo tuttora, come la spazzatura del mondo, come il rifiuto di tutti” (1 corinzi 4,9-13).

 

Non si tratta di un testo biblico molto popolare presso coloro che parlano di prosperità, ma Paolo, scrivendo ancora una volta ai Corinzi, ritorna su questo aspetto della vita cristiana: “Noi siamo tribolati in ogni maniera, ma non ridotti all’estremo; perplessi, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; atterrati ma non uccisi; portiamo sempre nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo” (2 Corinzi 4,8-10).

 

Allora, qual è la vita cristiana normale? Spesso è una vita piena di problemi. Se comprendiamo che gli eventi avversi, le persone, la salute e le circostanze hanno uno scopo nella nostra vita, allora possiamo sottometterci sapendo che in ogni cosa c’è la mano di Dio. I problemi sono normali!

 

Il dolore che porta frutto

Spesso il disagio nella vita dei cristiani non deriva tanto dai problemi stessi, ma dal continuo esame di sè stesso. Si chiedono spesso che cosa ci sia di sbagliato in loro perché Dio permetta che accadano tali cose. La Scrittura fa comprendere in tante sue parti che ci saranno sofferenze, ma, oggigiorno questo aspetto della vita cristiana normale viene trascurato, e questo impedisce a molti di sostituire lo scoraggiamento con l’incoraggiamento.

 

Voglio dare un esempio. Quando mia moglie e io aspettavamo il nostro primo figlio, ci iscrivemmo a un corso che insegnava a crescere un bambino e ci fecero anche comprendere con chiarezza ciò che avremmo sperimentato durante il processo della nascita. Insegnarono a mia moglie come cercare di alleviare il dolore con una serie di esercizi di respirazione.

 

 La sera in cui nacque nostro figlio, l’ospedale era pieno di pazienti e perciò c’era solo una tenda che separava mia moglie e me da una ragazza giovane che doveva partorire. Durante le doglie del parto mia moglie metteva in pratica le tecniche di respirazione imparate, ascoltando ogni parola detta dal medico e dall’infermiera con attenzione. Mia moglie disse che tutta quella preparazione non alleviò il dolore, ma ebbe l’effetto di mantenerci calmi perché eravamo stati mesi al corrente di quanto sarebbe accaduto.

 

Mentre la giovane a fianco a noi gridò tutto il tempo del travaglio perché nessuno gli aveva detto ciò che doveva aspettarsi e quindi pensava che le facesse del male ciò che noi consideravamo un normale processo di nascita.

Ogni credente che cresce, dà continuamente vita a una vita spirituale più profonda; quelli che comprendono quale sia la parte di sofferenza che questo comporta, saranno in una situazione di riposo, perché sanno che l’esito finale sarà glorioso.

 

Invece quelli che non sanno che i problemi della vita sono necessari per perfezionarli, attraverseranno la vita gridando, chiedendosi che cosa accada e lamentandosi  delle persone che le hanno messe in tali condizioni. Manca in loro la gioiosa attesa di ciò che avverrà dopo che il dolore se ne sarà andato.

 

Fra i credenti  si parla molto di dare frutto e tanti hanno il desiderio sincero di portare frutto per far vedere a se stessi che appartengono al loro Padre Celeste. C’è però un aspetto riguardo al portare frutto, che viene spesso trascurato: può causare disagio e anche dolore.

 

Nel mio giardino c’è un albero di mele. Il tempo quest’anno è stato molto favorevole per gli alberi da frutto e il mio melo si talmente riempito di frutti che i rami sono arrivati fino a terra, e se non avessi rinforzato i rami che stavano per spezzarsi l’albero sarebbe stato seriamente danneggiato.

 

Il melo ha sofferto per portare frutti utili agli altri, è quasi morto per dare vita. I frutti spirituali non sono per la nostra edificazione, ma per l’edificazione di coloro che ci circondano. Più frutto portiamo e più il Signore può permettere che veniamo stressati.

 

Il dolore è normale per il credente che porta frutto ed è normale anche un periodo d’inverno che arriva poco dopo la stagione dei frutti. D’inverno sembra che l’albero non abbia vita, ma la forza che lo anima è nascosta alla vista nella parte più profonda dell’essenza della pianta: le radici. Là rimarrà per mesi e si rafforzerà per quello che sarà rivelato nella primavera imminente.

 

Sono pochi i credenti che hanno imparato a gioire dell’inverno, quando non ci sono sensazioni, frutti e non c’è quasi espressione di vita, ma solo il lavoro silenzioso e nascosto di Dio nella parte più profonda dell’essere umano: il suo spirito. L’inverno è normale, i momenti dolorosi sono normale, l’aridità è normale, l’avversità è normale. Tutto è necessario per liberare la vita che il credente ha dentro di sé: la vita di Cristo.

 

Sperimentare la mano di Dio nei problemi

Se ci sottomettiamo alla vita cristiana normale e vediamo nel mezzo dei problemi la mano di Dio che ci ammaestra, ci dirige e libera, impariamo alcuni dei segreti più profondi. Grande parte di quello che non eravamo mai riusciti a capire leggendo la vita di grandi credenti come Paolo, diventerà reale mediante la nostra esperienza personale.

 

Personalmente non ero mai riuscito a comprendere l’affermazione di Paolo “ingiuriati, benediciamo”. Era una frase che avevo memorizzato, quindi era nella mia mente, ma la verità non aveva mai compiuto i 40 centimetri di viaggio per scendere dalla mente al cuore fino al giorno in cui si presentò un problema.

Lavoravo in un altro paese e ricevetti una telefonata da mia moglie per informarmi che una somma di denaro che dovevo ricevere da un amico a cui l’avevo prestata non sarebbe più stata restituita, mai più.

 

 Si rifiutava di darmi ciò che era mio. Ero partito con la sicurezza che mentre ero lontano mia moglie sarebbe stata in grado di pagare i conti della casa, di fare gli acquisti quotidiani e affrontare tutte le spese necessarie. Ero legato alla certezza e disponibilità del mio amico a darmi quello che mi doveva. Quando seppi che non sarei stato pagato la mia prima reazione fu di RABBIA. Come poteva farmi una cosa simile?

 

Finita questa conversazione al telefono con mia moglie, mi resi conto che a causa della mia preoccupazione per la mia famiglia e la rabbia non mi sentivo più di andare a predicare al gruppo di credenti che mi attendevano. Ma caddi sulle ginocchia e cominciai a pregare gridando a Dio tutta la mia frustrazione e subito la sua pace cominciò a scendere lentamente su di me. Nella sua luce riuscii a vedere la luce: la provvidenza giornaliera non dipendeva dall’uomo, ma da Dio, era Lui che provvedeva a me.

 

Che pensiero glorioso! Non dovevo confidare nell’uomo, che è inaffidabile ma potevo confidare in Dio che è sempre fedele. In quel momento fui libero da ogni legame con la ricchezza di questo mondo: il Figlio mi aveva reso libero davvero. La mia risposta al Signore fu la decisione di liberare quell’uomo dal suo debito, appena tornato a casa. Gli avrei dato il denaro che lui doveva a me, ero libero da quell’uomo fino a questo punto!

 

Mi rialzai con il cuore, come quel detto:

“leggero come le mie tasche” e pronto a condividere con i credenti il mio Dio, il Dio di ogni provvidenza. Quando entrai nell’atrio un uomo venne verso di me e mi mise in mano un assegno che era 10 volte la somma che avevo perduto. Che cambio favorevole!

Stavo sperimentando quella parola: “Perché la nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande e smisurato peso eterno di gloria”. (2 Corinzi 4,17).

 

E’ sempre favorevole il cambio nel regno di Dio: diamo poco e riceviamo molto. Se così a tanto può derivare da questo semplice atto di negazione di me stesso, che cosa sarebbe successo se avessi deciso di prendere la croce e di rinnegare me stesso in tutte le aree riguardanti il mio rapporto con gli altri?

 

Mentre ero a letto, quella sera il io mio cuore era pieno di gratitudine per ciò che poco prima era stato un problema per me. Chiesi al Signore di benedire il fratello che mi aveva ingannato, perché per mezzo suo mi era arrivata una benedizione enorme. Senza la sua azione non avrei mai potuto imparare così chiaramente che Dio è colui che provvede a me e da allora quella lezione mi ha dato pace in mezzo alle avversità.

 

 Mentre uscivano dalla mia bocca parole di benedizione per questo fratello, mi resi conto che Cristo in me aveva dato compimento alle parole di Paolo: “ingiuriati, benediciamo”. Ora ero più entusiasta che mai e ora so che quando nasce un problema, Dio opererà sempre qualcosa di meraviglioso in me e perciò posso benedire coloro che mi maledicono. Un giorno, terminando un colloquio con una donna che aveva difficoltà col marito le diedi un compito. Era una cosa apparentemente piccola e semplice da fare: durante la settimana doveva abbracciare il marito ogni volta che diceva qualcosa di negativo o di tagliente su di lei.

 

Lei scherzò dicendo: “non è meglio darmi un libro da leggere?” Sapeva bene  le difficoltà che ci sono in noi nel fare anche la più piccola delle azioni che richiedono il rinnegamento del nostro io. Due settimane dopo ritornò e cominciò a raccontare i cambiamenti che avvenivano e il nuovo senso di  libertà che cominciava sperimentare, non aveva più l’assillo di dover agire per dimostrare agli altri, era libera dai sensi d’inferiorità e anche dall’ansia che arriva quando si vuole proteggere il nostro io e lo si innalza. Il frutto di questo problema con il marito andò ben oltre il dolore che il problema aveva causato.

 

Spezzati e arresi a Cristo

La vita cristiana normale è una vita di problemi, ma ricordiamo sempre che ogni problema è passato fra le mani di un Padre amorevole e porta con sé prima ancora di arrivare uno scopo ben preciso e di benedizioni. Coloro che sono nel mezzo delle afflizioni di solito non vedono lo scopo nascosto, ma chi ha esperienza della sofferenza sa che c’è qualcosa di glorioso in essa.

 

I problemi sono il mezzo principale che Dio ha per portarci all’esaurimento delle nostre risorse e per farci sperimentare la profondità di tutte le sue ricchezze. Uno dei metodi più efficaci per domare un cavallo è quello di metterlo su un piano inclinato, di montarlo e di liberarlo in un’arena piena di sabbia. Il cavallo mentre corre in circolare combattendo le profondità create dalla sabbia finché non gli esce la schiuma dalla bocca e alla fine, quando non è più in grado di mettere un piede davanti all’altro, cede.

A questo punto il cavallo non và più dove vuole , ma permette al cavaliere di dirigere ogni sua mossa. Anche nella vita dei credenti la spezzatura funziona così. Andiamo a Cristo ancora pieni di sforzi personali, di volontà personale e di energia, non siamo pronti a dare le redini allo Spirito Santo. Dobbiamo essere messi in situazioni che assomigliano tanto alla sabbia profonda: guai, circostanze, rapporti interpersonali in cui ogni tentativo di liberarci porta solo esaurimento più profondo all’anima. Alla fine siamo spezzati, siamo pronti a dire: “Non ci riesco!” e lasciare che sia lo Spirito Santo a dirigere ogni mossa.

A questo punto l’anima (mente, volontà ed emozioni) il corpo e il mondo sono separati dallo spirito. Dio ha messo la sua propria vita nel nostro spirito per renderlo una cassa del tesoro in cui è racchiuso tutto ciò che gli uomini desiderano e di cui hanno bisogno: amore, sicurezza, accettazione, pace e riposo. 

 

Ma noi siamo troppo abituati a guardare noi stessi e agli altri per cercare di scoprire queste ricchezze. Dio permette che tutto ciò che non fa parte del regno dello spirito ci deluda, perché in questo modo egli separa lo spirito da ogni altra cosa e ci obbliga a guardare solo allo spirito per avere risposta alle nostre necessità più profonde. E’ un processo doloroso mentre si viene meno, ma il risultato sarà meraviglioso perché non si agirà se non mossi dallo Spirito Santo.

Questi credenti imparano a vivere non delle cose del mondo, ma al di sopra di esse, e non cercheranno dagli altri la risposta alle loro necessità, ma saranno pieni di Spirito Santo fino a traboccare e in grado di offrire agli altri traendo dall’abbondanza del loro spirito nel quale è aperta la cassa del tesoro.

 

Questo processo di spezzatura è stato chiamato “la notte oscura dell’anima”. Noi camminiamo nell’oscurità senza la consapevolezza della presenza del Signore e senza soddisfazioni in tutto quello che esiste al di fuori dello Spirito.

In quei momenti siamo confrontati dal fatto che, anche se la nostra bocca proclama che c’è pace in Dio soltanto, il nostro cuore è attratto dalla “concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita”. (1 Gv. 2.16) per aver un minimo di soddisfazione.

 

Lo scopo della nostra vita è stato il benessere, non la maturità e la completezza in Cristo e per questo accettiamo le positività della vita e disprezziamo ogni negatività. Il processo di spezzatura farà si che, alla fine, noi guardiamo oltre i confini del benessere e scopriamo che ciò di cui abbiamo bisogno nella vita è sapere che Dio è sul trono.

 

Dio ha investito su di noi

Non molto tempo fa, un amico mi disse che una volta aveva perso parecchi milioni di dollari. L’economia aveva fatto una svolta brusca nella parte del paese in cui viveva e aveva cominciato a perdere un affare dopo l’altro. Non era stato solo in questa situazione. Si era messo in contatto con un conoscente che era in una situazione simile alla sua e gli aveva chiesto come pensava di salvare la sua fortuna. Egli gli confidò che doveva parecchi milioni di dollari a una banca e che sarebbe andato  immediatamente in banca per dichiarare fallimento.

 

Disse che non avrebbe trattenuto nulla per sé, ma avrebbe detto alla banca che aveva intenzione di ritirarsi dagli affari. Il mio amico fu un po’ confuso da tale decisione e chiese se non sarebbe stato più opportuno combattere, fare un piano e cercare di escogitare qualcosa per difendere il suo impero finanziario.

 

 L’altro rispose così: “Debbo milioni alla banca. Posso lavorare per restituirli, assumendomi ogni responsabilità o posso dichiarare il fallimento.  Se dichiaro fallimento, la banca ha investito troppo su di me per lasciarmi andare alla deriva e si sentirà obbligata, avvertirà la responsabilità, il desiderio di cercare di impedirmi di essere completamente sopraffatto e sarà anche suo interesse che questo non accada!”

 Entro pochi anni il mio amico che scelse di combattere per salvare la sua fortuna, perse tutto. La persona che aveva dichiarato bancarotta diventò miliardario grazie all’aiuto ricevuto dalla banca.

 

Mentre camminavo in montagna il giorno successivo, pensavo a quanto aveva detto l’amico del mio amico; era giusto pensare che la banca, avendo investito tanto denaro, cercasse di impedire in ogni modo che il milionario perdesse ogni avere. Il pensiero successivo fu: “Quanto ha investito Dio in noi? Ha investito suo Figlio stesso che vale ben di più di tanti milioni di dollari. Avendo investito suo Figlio ha investito troppo in ognuno di noi per permettere che andiamo alla deriva!”