I Quaderni della Comunità n° 2/2010
Comunità S. Volto di Gesù
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I 7 VIZI CAPITALI
(Padre Maurizio Napoli)
Introduzione
► Per combattere seriamente ed efficacemente il peccato, bisogna conoscerlo, individuarlo chiaramente, in noi e attorno a noi.
Il peccato ha tante forme quante sono le possibilità di disordine morale nell'uomo.
La Chiesa parla di sette vizi capitali, detti così perché sono alla base di tutti gli altri.
“Vizio” è quell'abitudine, quella propensione cattiva che nasce dal ripetersi del peccato e che, a sua volta, spinge al peccato stesso in maniera fortissima.
Osserviamo ancora che il distinguere “a tavolino” i vari vizi (e i peccati conseguenti) non vuole certo dire che essi restino isolati nella pratica, ma purtroppo si richiamano a vicenda: la superbia, ad esempio, richiama l'ira ma è alla radice di ogni genere di peccato; la gola, cioè i disordini e gli eccessi nel mangiare e nel bere, richiamano facilmente la lussuria e quest'ultima porta a trascurare i propri doveri, quindi all'accidia; ecc...
Procediamo, però con ordine, analizzando i vari vizi uno alla volta.
SUPERBIA |
► I teologi la definiscono: un amore disordinato, eccessivo, del proprio “io”, per cui ci compiaciamo di noi stessi e cadiamo in una vera e propria idolatria – anche se talvolta non del tutto consapevole – del nostro povero nulla.
Ciò capita, per esempio, quando:
● Ci vantiamo delle nostre buone qualità dimenticando ciò che afferma la parola di Dio: “Ogni dono perfetto viene dall'alto, discendendo dal Padre della luce” (Gc 1,17).
O ancora: “Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?” (1Cor 4,7).
I nostri meriti esigono l'opera concomitante (e anche preveniente) della Grazia, che spesso fatica tanto per spingerci e sorreggerci verso il bene.
● Ci gloriamo dei pregi che non abbiamo. Un povero asino spelacchiato un giorno portava al mercato degli splendidi cesti di fiori del suo padrone, un fioraio. Al vedere la gente che gli si faceva intorno per ammirarli e sentirne il profumo, rizzava le orecchie e diceva tra sé: Devo essere veramente bello e attraente dal momento che tutta la gente mi viene attorno per ammirarmi... Quanti asini a questo mondo...
● Di conseguenza guardiamo con sufficienza gli altri, trovando facilmente pagliuzze nei loro occhi, dimentichi della trave che è nel nostro.
Ciò non vuol dire misconoscere quei valori e quei doni che pure caratterizzano la nostra personalità, perché così facendo potremmo cadere nella depressione, nello scoraggiamento, nei complessi di inferiorità.
Semplicemente occorre attribuirli a chi ce li ha concessi, cioè a Dio, e, quindi, accoglierli e usarli con semplicità e gratitudine, ricordando cosa afferma S. Paolo: “Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio” (2Cor 3,5), e Gesù stesso: “Senza di me non potete fare nulla” (Gv 15,5).
Vediamone alcuni dei modi di manifestarsi della superbia:
1. Chi si offende facilmente e stenta a perdonare.
2. Chi si compiace di essere sempre al centro dell'attenzione, ammirato, lodato.
3. Chi soffre maledettamente e si irrita se viene biasimato.
4. Chi non pensa ad altro che a far bella figura, a comparire, ad emergere.
5. Chi vede tutto bello in sé e tutto brutto negli altri.
6. Chi vuole avere sempre ragione e nelle discussioni non cede mai.
7. Chi parla volentieri e spesso di sé.
8. Chi pretende di dar consigli a tutti, senza accettarne da nessuno.
Tutti costoro, ed altri ancora, sono evidentemente mossi da superbia.
L'orgoglio trae spunto e origine anche da beni molto apprezzabili, per es. dalla scienza (orgoglio intellettuale) o dalla stessa vita spirituale (orgoglio spirituale).
- L'orgoglio intellettuale porta a non accettare l'insegnamento della Chiesa o a manipolare le verità rivelate a proprio uso e consumo, per armonizzarle con le proprie vedute e orientamenti culturali. Per questo Gesù ringrazia il Padre di avere rivelato la verità ai “piccoli”, mentre rimane nascosta ai sapienti.
- Più fine e subdolo è l'orgoglio spirituale, che crea una quantità di illusi, pieni di presunzione, che, abilmente strumentalizzati dal Demonio, giungono a immaginare di essere depositari di speciali doni soprannaturali e carismi, che lasciano volentieri trapelare tutte le volte che è possibile, sotto il manto di un'apparente umiltà e riserbo. E parlano volentieri di questi loro presunti doni, fuggendo da chi tenta di riportarli all'umiltà e alla verità.
Non c'è vizio più odioso davanti a Dio dell'orgoglio, perché nulla si oppone maggiormente alla gloria che Gli è dovuta. Ecco perché leggiamo nella scrittura: “Dio resiste ai superbi; agli umili invece dà la sua grazia” (Gc 4,6).
Ma il guaio della superbia è quello di essere madre di innumerevoli vizi, quasi suoi “sottoprodotti”:
- La vanagloria, che è desiderio disordinato della stima e dell'ammirazione altrui. Gesù diceva accoratamente dei farisei: “Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini” (Mt 23,5) e raccomanda che nel fare la carità non si suoni la tromba e che la mano sinistra non sappia ciò che fa la destra (Mt 6).
- L'ipocrisia, cioè il ricorrere a doppiezze e simulazioni per essere creduti ciò che non si è. “Sepolcri imbiancati”, direbbe Gesù.
- La presunzione, cioè il contare troppo sulle proprie forze, con i relativi disastri...
- L'ostinazione, cioè il non cedere mai, anche quando si ha evidentemente torto. Di qui alterchi, litigi...
E l'elenco potrebbe continuare a lungo.
► Quali i possibili rimedi a questo vizio?
● L'esercizio della virtù dell'umiltà, che è nello stesso tempo un atteggiamento di verità e di giustizia, che aiuta a non gloriarsi di nulla, perché siamo nulla, e a rendere gloria all'artefice di tutto: Dio.
Ma occorre essere attenti alla contraffazione dell'umiltà. S. Francesco di Sales scriveva: “Diciamo spesso di essere nulla, di essere la miseria in persona e la spazzatura del mondo, ma resteremmo ben male se qualcuno ci prendesse in parola e pubblicamente ci trattasse secondo quanto andiamo dicendo di noi stessi. Anzi, facciamo finta di fuggire e di nasconderci solo perché ci corrano dietro e vengano a cercarci”.
Gesù l'ha detto chiaramente: “Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli!” (Mt 18,3).
● Accettare con serenità e riconoscenza le immancabili piccole umiliazioni e incomprensioni della vita quotidiana, può essere, a sua volta, una via utile.
- Faccio notare, infine, che benché il superbo ostenti sicurezza e sminuisca i meriti altrui, non sempre è realmente convinto di possedere tutte le qualità che lui stesso si attribuisce. Teme delusioni e insuccessi perché gli rivelerebbero di essere in realtà un mediocre, un normodotato.
- E concludiamo con un pensiero del beato Egidio d'Assisi, compagno di s. Francesco: “Vuoi andare in su? Incomincia con l'andare in giù!”.
ACCIDIA |
► L’accidia o pigrizia spirituale (se riguarda la nostra vita di relazione con Dio), si oppone alla pratica di tutte le virtù ed è dannosissima per la crescita umana e spirituale, perché tende a paralizzare la volontà.
Il pigro sente una forte allergia a ogni forma di sforzo, di fatica, di impegno. È discontinuo, mai puntuale, disordinato a tutti i livelli. Non si decide mai ad alzarsi dal letto, s’inchioda abulicamente davanti alla TV, non sa mai mettersi al lavoro o allo studio e, men che meno, in preghiera. Se fa qualcosa la fa malvolentieri, con lentezza e negligenza. Nel campo spirituale il pigro non prova alcun gusto e sente solo noia, torpore, indolenza.
Tutto ciò può essere ulteriormente accentuato e aggravato dal clima culturale e sociale in cui si vive. La società dei consumi non è certo fatta per educare individui forti, volenterosi, costanti. Sotto certi aspetti, vediamo che le nuove generazioni sono più sensibili e aperte alle grandi motivazioni cristiane della vita (servizio, volontariato, ecc.) ma, di fatto, li si ritrova spesso fragili, incerti, stanchi in partenza, incapaci di prendere in modo definitivo decisioni di un certo peso, soprattutto sullo stato di vita.
Vi sono certamente vari gradi di pigrizia e, quindi, di gravità di questo vizio, ma è importante saperlo individuare e combattere fin dalle sue prime manifestazioni, per evitare che prenda piede in noi e ci paralizzi.
Genitori e educatori dovrebbero essere particolarmente vigilanti in questo campo coi bambini e i ragazzi, non lasciandoli poltrire a lungo, soprattutto durante i periodi di vacanza, secondo la semplice e preziosa pedagogia cristiana. La scrittura fa molti riferimenti a questo vizio. Cito un testo dall'A.T.: “Un po’ dormire, un po’ sonnecchiare, un po’ incrociare le braccia per riposare ed intanto viene, passeggiando, la miseria e l’indigenza come un accattone” (Pr 24,30-34). Chi, poi, non ricorda i rimproveri di S. Paolo a quanti, col pretesto della prossima “parusia”, se ne stavano oziosi? “Chi non vuole lavorare, non mangi” (2Ts 3,10). E di sé poteva dire: “Voi ricordate, infatti, fratelli, la nostra fatica e il nostro travaglio, lavorando giorno e notte per non essere di peso ad alcuno vi abbiamo annunciato il Vangelo di Dio” (1Ts. 2,9).
► Proviamo ad accennare ad alcuni rimedi:
● Le forti convinzioni. Idee chiare che possono imporsi risolutamente alla volontà e determinarla a perseguire fortemente il bene, nonostante tutte le remore della pigrizia. Tra queste: il senso cristiano della vita come dono, servizio, missione; il valore preziosissimo del tempo; i talenti da trafficare intensamente; la corresponsabilità ecclesiale e missionaria ecc.
Senza queste forti convinzioni ciascuno di noi resta in balia di se stesso, succube di tutti i capricci e gli alti e bassi di una volontà tarata.
● L'allenamento progressivo. Sono convinto che molte, troppe volte, i nostri insuccessi nel progetto spirituale, nella vita cristiana, dipendono dal non avere usato prudente e saggia gradualità nel cammino e di avere preteso troppo e troppo in fretta.
Basterebbe uno sguardo anche superficiale alla vita e alla realtà di moltissimi giovani (e non solo) per renderci conto della quasi totale diseducazione della volontà e della conseguente istintività del loro agire.
Non si potrà, quindi, pretendere, per esempio, che chi è abituato ad alzarsi ogni mattina non prima delle 10, di punto in bianco si alzi alle 6. Così, a chi non prega mai non val la pena chiedere la S. Messa quotidiana, l’orazione della Liturgia delle Ore, la meditazione quotidiana, il Rosario, ma è meglio puntare su un momento quotidiano di preghiera, breve ma intenso. Ecc.
● La programmazione. Bisogna mettersi di buona volontà e delineare un programma di vita, con impegni e punti fermi quotidiani e periodici; puntando sull’eliminazione dei difetti principali e più dannosi, ben diagnosticati e puntualizzati; usando i mezzi più adatti e i propositi più efficaci e calibrati.
Un lavoro da farsi confrontandosi con una guida spirituale o, perlomeno, con un quotidiano e calmo esame di coscienza. I santi si sono formati così.
● L’inserimento in un gruppo. Che non è più un “optional”, ma una precisa volontà di Dio, che chiede a ciascuno di noi di usare i mezzi più idonei per raggiungere il fine di bene generale che egli propone. E questo per due motivi: per ricevere, come abbiamo detto, gli aiuti necessari a vivere una vita cristiana felice e fervente e per offrire il proprio contributo in vista della “nuova evangelizzazione”, valorizzando sempre più l'esperienza della Pentecoste personale.
LUSSURIA |
► Ossia l'uso disordinato dell'istinto sessuale. Nel progetto di Dio l'esercizio della sessualità con il piacere che vi è connesso, ha come fine quello di costituire per l'uomo un mezzo per esprimere il suo amore verso una persona dell'altro sesso, e ciò a servizio della vita e nel contesto del matrimonio indissolubile.
E proprio perché corrispondono al progetto di Dio, il Concilio afferma (GS 49) che: “gli atti con i quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono onorabili e degni e, se compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano, e arricchiscono vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi”.
Purtroppo, però, anche in questo settore il mondo di oggi ha dei seri problemi. S. Paolo avrebbe voluto che i cristiani non nominassero neppure tali peccati:
“Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice ai santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti” (Ef 5,3-4).
Vediamo, invece, come non si sente parlare d'altro, purtroppo. Il peccato impuro avvelena ormai tutti i settori della vita, anche quello spirituale, incominciando dal fondamento che è la fede. Grandi alleate della lussuria sono golosità e pigrizia ma l’elenco potrebbe continuare a lungo: la televisione e il computer sono divenuti un veicolo continuo di oscenità e di infezione morale; la maggior parte dei periodici danno anch’essi il loro contributo a creare una mentalità permissiva; la moda esibizionista che ignora ogni
senso del pudore; persino certa musica, che a dire degli esperti, può risultare sessualmente stimolante.
Noi cristiani ci stiamo arrendendo su questo fronte, forse per paura di essere additati come retrogradi e moralisti dalla mentalità ristretta. Persino noi preti, rischiamo di sorvolare diplomaticamente su certe esigenze evangeliche in materia, per non diventare impopolari.
► Ma esattamente, in cosa consiste la lussuria? Qual è la sua natura e perché è un peccato grave? Quante volte si sente dire: “Ma che male facciamo? Se si è d’accordo non togliamo nulla a nessuno”. Oppure: “Sono bisogni naturali che sentiamo tutti, che male c’è nel soddisfarli?”. E ancora: “Se ci si ama non può essere un male”. La lussuria è peccato grave perché è un uso disordinato, e quindi contrario alla volontà di Dio, di una facoltà (quella sessuale) ordinata esclusivamente al matrimonio, cioè alla comunione totale (spirito e corpo) di un uomo con una donna e al mantenimento e alla propagazione del genere umano.
Matrimonio che Gesù ha elevato a dignità di sacramento, cioè consacrazione e sigillo divino all’amore umano, sacramento che comporta una stabilità inscindibile tra i due partner e grazie preziose per la loro crescita spirituale e per l’educazione umana e cristiana dei figli.
Fuori da questa cornice sacra del matrimonio l’uso della facoltà sessuale diventa disordine egoistico che si oppone al piano di Dio. E siccome la sessualità è qualcosa che prende tutto l’uomo, vi si può cadere col pensiero, col desiderio, con gli sguardi, con le parole, con le azioni, da soli e con altri.
È un peccato che non ammette pareri di materia, come gran parte degli altri peccati (per esempio, uno può rubare poco o molto, può irritarsi leggermente o irarsi, può lasciarsi andare al pettegolezzo o alla calunnia, essere leggermente brillo o ubriaco fradicio, ecc.).
È Gesù che non lascia dubbi a riguardo: “Se tu guardi una donna con occhio impuro, è come se già avessi peccato con lei” (Mt 5,29). Può però essere peccato veniale per insufficiente avvertenza o imperfetto consenso.
S. Paolo ha raccomandato di non profanare il nostro corpo, tempio dello Spirito Santo affermando anche: “Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il Regno di Dio” (1Cor 6,9-10). Nell’Antico Testamento si indicano pene severe per l’adulterio, l’incesto, l’omosessualità, la bestialità e viene deplorato l’onanismo (Gn 38,9-10).
Il peccato impuro in tutte le sue forme, dentro e fuori del matrimonio, calpesta la dignità della persona umana, ridotta a oggetto, e impedisce lo sviluppo della vita divina nell’anima.
Produce abitudini tiranniche, egoismo sfrenato, infiacchimento dell’intelligenza e della volontà, assenza di slancio verso il bene.
► Quali mezzi abbiamo per preservarci dalla lussuria o per purificarci qualora vi fossimo caduti?
● Idee chiare e convinzioni profonde, come dicevamo già per l'accidia, altrimenti manca il punto fermo su cui far leva. Quanto abbiamo detto finora contribuisce a tale chiarificazione, ma certo nella confusione di idee di oggi non si insisterà mai abbastanza su questo punto.
● Umiltà, perché molte persone cadono nei peccati di lussuria per il loro orgoglio e la loro presunzione. Chi è umile ammette di essere debole e non si espone a tentazioni e pericoli. Qui vince chi sa fuggire per tempo.
● Mortificazione, quella fisica e quella dello spirito, che è come la ginnastica, l’allenamento della volontà, senza cui rimane fiacca e incline a tutti i cedimenti, anche i più miseri. Spesso si sorvola su questo aspetto austero del cammino di fede, ed è anche per questo che il vizio impuro dilaga.
● Preghiera e sacramenti. Mai dimenticare che Gesù afferma: “Senza di me, non potete fare nulla!”, e sull’impurità più che in altri campi. Trascurando questi importanti strumenti di grazia, pian piano tutte le virtù evangeliche muoiono, mentre si rinvigoriscono orgoglio, ira, pigrizia, egoismo e sensualità.
Solo due grandi amori possono salvarci: quello contemplativo, intimo, personale, per Gesù e l’amore, la passione, per la salvezza dei fratelli e la costruzione del Regno di Dio nel mondo, cioè la dimensione missionaria.
L'Amore che si dona fino al sacrificio di sé; che ci impedisce di raggomitolarci nel nostro egoismo e di soffocare nei nostri vizi; l’Amore che ci fa liberi e grandi, al di sopra di ogni mortificante meschinità; l’Amore che solo Cristo, il Figlio di Dio, è venuto a riportare e a riproporre sulla terra; l’Amore che dilata il nostro piccolo e povero cuore a pregustare l’Amore eterno di Dio.
IRA |
► Potremmo definirla come un moto impetuoso dell'anima, un violento bisogno di reazione contro ciò che contrasta con le proprie attese, i desideri, le sofferenze e le contrarietà fisiche o morali.
Si scatena una forte reazione emotiva che indirizza ogni energia per cercare di vincere tali difficoltà e talvolta anche di vendicarsene. Per cui, ad esempio, se si è ricevuto un torto o una umiliazione da qualcuno, l'ira fa insorgere un desiderio violento di controbattere e di ritorcergli contro il torto o l'accusa subiti.
Notiamo che l'ira è la prima passione che si manifesta nell'uomo e persino nel fanciullo di pochi anni o nel bimbo di pochi mesi che, già dominato da questa passione, iroso si agita e piange. Nell'ira sono particolarmente evidenti gli squilibri e i danni che il peccato originale ha prodotto nell'uomo. Porta in sé qualcosa di diabolico che si evidenzia persino sul viso di chi ne è soggetto.
Purtroppo, questo vizio domina spesso anche le persone “pie” e praticanti, tanto che non è raro vedere persone di comunione quotidiana che poi, per un nonnulla, si abbandonano all'ira più sfrenata.
Magari poi si tenta di camuffare questo vizio con scuse di vario tipo: Ho i nervi tesi... Sono stressato... Come se dicessimo: la colpa non è mia; è dei nervi, dello stress.
S. Giovanni della Croce ricorda anche quelli che si adirano facilmente contro i difetti degli altri, con uno zelo inquieto e aggressivo, come se fossero essi i padroni delle virtù. O chi, vedendosi imperfetto e incapace, si adira con se stesso, senza la pazienza e l'umiltà di attendere i tempi di Dio.
► L'ira si oppone direttamente a Dio, che è Dio di pace e di amore. Leggiamo diverse espressioni della scrittura che ci istruiscono a riguardo: “Per il resto fratelli, - dice Paolo - state lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell'amore e della pace sarà con voi” (2Cor 13,11).
“L'ira dell'uomo - scrive S. Giacomo - non compie ciò che è giusto davanti a Dio” (Gc 1,2).
Gesù afferma categoricamente: “Chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio” (Mt 5,22).
L'ira, infatti, è incompatibile con la carità (fondamento della vita cristiana), la quale per sua natura “non si adira”, come ci ricorda Paolo (cf 1Cor 13,5).
► In quanto trasporto disordinato dell'animo, di per sé è peccato veniale (per cui non è il caso di tralasciare la comunione eucaristica per ogni lieve manifestazione di irascibilità...), ma se ci si abbandona ad essa in modo grave e prolungato, con desideri di male e di vendetta contro il prossimo, può essere valutata anche come peccato mortale.
È certo, comunque, che ostacola non poco la vita spirituale e di unione con Dio, togliendo il raccoglimento e la pace interiori, così indispensabili per l'intimità con Lui.
Comprendiamo, allora, l'esortazione di S. Paolo: “Non tramonti il sole sopra la vostra ira. E non date occasione al diavolo.... Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza” (Ef 4,26).
L'ira, poi, deforma e distrugge l'opera di Dio nell'uomo. Egli ha impresso nell'animo umano la ragione e l'intelligenza, ma sotto gli effetti dell'ira si perde ogni controllo, somigliando più a un animale irragionevole e violento o, addirittura, a un demonio. In tal senso, l'ira è una pazzia in forma furiosa, anche se momentanea.
Ma non basta. Dall'ira proviene ogni sorta di mali: la bestemmia, l'asocialità, le risse, fino ai delitti più gravi.
“Mantice per il carbone e legna per il fuoco, tale è l'attaccabrighe per riattizzare le liti” (Pr 26,21).
Quanti hanno dovuto pentirsi amaramente e rimpiangere parole e atti inconsulti e dannosi compiuti in un eccesso d'ira?
In famiglia un clima di facile e continua irascibilità tra i genitori, lascia segni dolorosi e turbe nervose nei figli, anche perché l'ira è un male estremamente contagioso. Pensiamo, ad esempio, a com'è difficile mantenersi calmi dinanzi alla violenza e all'aggressività di certe persone.
► Veniamo al rimedio.
● La fiducia. La frequenza e la facilità delle cadute in questo vizio non deve scoraggiarci; non è impossibile superarlo, altrimenti Gesù non ci avrebbe raccomandato: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore!” (Mt 21,29).
● La mitezza o mansuetudine. Virtù tipicamente evangelica, che frena i moti disordinati dell'ira e imprime in noi i tratti di Gesù, aprendoci all'ordine, all'armonia, alla bellezza spirituale, al frutto dello Spirito Santo che è: “Amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22).
Inoltre, Paolo esortava dicendo: “Rivestitevi, come eletti di Dio, santi ed amati, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi” (Col 3,12-13).
- Il vero mite: non risponde alle ingiurie e alle offese; non si risente esternamente e nel cuore; non perde la pace, anzi, si sforza di superare ogni risentimento; risponde sempre con amorevolezza, pacatezza e cortesia; è pronto a ricambiare col bene chi gli fa del male; nelle traversie fisiche e morali mantiene costantemente serenità e pazienza; ecc.
- Mentre: gli scoppi d'ira, lo sbattere le porte, il battere pugni sul tavolo, il gridare come ossessi, ecc., sono segni evidenti di debolezza psichica e morale.
● I buoni propositi. Basterebbe provare a contare fino a 10, prima di rispondere alle persone aggressive e alle ingiustizie che si è costretti a subire.
A riguardo, a mo' di esempio, vorrei citare l'esperienza di vita di Santa Giovanna Chantal che, rimasta vedova, fu obbligata da suo suocero ad andare ad abitare con i suoi figli nel suo castello, minacciando altrimenti di diseredarli. Lì, per sette anni e mezzo, fu vittima di una serva che, favorita del suocero, si comportava da padrona, non risparmiandole ingiurie e cattiverie di ogni genere.
Doveva assistere, impotente, anche al tracollo economico e amministrativo della casa, totalmente in balia di quell'energumena che a lei, che era la vera padrona, lesinava anche il necessario per vivere, negandole persino di prendere da bere senza prima chiederle il permesso. Imponeva anche che non vi fosse distinzione tra i propri figli e quelli della baronessa, che non solo accettava tutto in silenzio e con pazienza, ma volle fare da maestra di scuola e cameriera ai figli di quella donna. E al suocero dimostrava riguardo e affetto filiale, senza mai lasciarsi sfuggire un minimo lamento.
► Concludiamo con le parole dell'Apostolo Pietro: “È una grazia per chi conosce Dio subire afflizioni, soffrendo ingiustamente; che gloria sarebbe infatti sopportare il castigo se avete mancato? Ma se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, poiché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca, oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a Colui che giudica con giustizia” (1Pt 2,19-23).
GOLA |
► È un vizio che, a prima vista, può apparire insignificante, soprattutto in una società e cultura spiritualmente grossolana e superficiale come la nostra. Ecco perché conviene chiarirci un po’ le idee in materia. La gola è un peccato deleterio e pericoloso, proprio perché passa inosservato e non se ne conoscono gli effetti negativi, che non sono pochi, né di poca importanza. Si dice, addirittura, che quello della gola è l'ultimo vizio di cui l'uomo spirituale riesce a liberarsi. Basterebbe un'osservazione: quando Gesù vuole descrivere un uomo che va diritto all'inferno, lo mostra come un ingordo (vedi la parabola del ricco “epulone”). La gola “accompagna” l'egoismo del ricco. Qualcosa di simile è presentato nella parabola del proprietario ricco, che dopo un buon raccolto, dice a se stesso: “Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla bella vita” (Lc 12,19).
D'altra parte, la prima tentazione con cui il Demonio affronta Gesù, dopo il suo digiuno di quaranta giorni nel deserto, riguardò proprio la soddisfazione della gola, mediante la trasformazione delle pietre in pane (Lc 4,1-13).
È Dio che ha posto nell'alimentazione un certo piacere, allo scopo di garantire e stimolare la funzione nutritiva essenziale all'organismo. Di per sé, dunque, tale piacere non costituisce imperfezione, anzi, è moralmente buona. Tuttavia, dopo il peccato d'origine, il desiderio del piacere non è più sempre sottomesso al controllo della ragione illuminata dalla fede. Tende a evadere dai giusti limiti. Quando ciò avviene abbiamo un disordine morale; in questo caso il peccato di gola.
► Possiamo definirlo: appagamento del desiderio disordinato del mangiare e del bere. Il disordine sta nel piacere ricercato “per se stesso”, come fine e non come mezzo, secondo il detto: “Vivere per mangiare e non mangiare per vivere”. Certo, non è sempre facile determinare dove finisce il bisogno e dove incomincia il superfluo e, quindi, stabilire una norma precisa per tutti. Ci limitiamo, allora, a indicare alcune norme generiche che servano da orientamento per un concreto esame di coscienza su di un punto tanto trascurato.
Pecca di gola:
● Chi mangia e beve più del necessario, il che può variare notevolmente dall'uno all'altro ma, in genere, lo si riconosce dal fatto di alzarsi da tavola, più che ristorati, appesantiti.
● Chi da troppa importanza alla qualità del cibo, facendone persino una delle principali preoccupazioni.
● Chi tende a una eccessiva ricercatezza e dispendiosità, mai contento di ciò che viene preparato.
● Chi si butta sulle vivande con incontrollata voracità, più simile a un animale che a un uomo.
Certo, non ogni peccato di gola è da ritenersi mortale. Molto spesso rimane un peccato veniale.
Si raggiunge la colpa grave solo quando si reca danno alla salute, alla propria capacità di lavoro, o quando non si tiene minimamente conto di chi non ha di che sfamarsi.
La gola, lo sappiamo, può rispondere a un bisogno di auto gratificazione in stati di depressione psichica o di carenza affettiva e diviene un meccanismo di compensazione. In questi casi la colpevolezza si attenua.
Tuttavia, il peccato di gola (o intemperanza) è grave nelle sue conseguenze:
- Nessun goloso riesce a essere un uomo di preghiera. Dice perciò Gesù: “State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano nelle crapule e nelle ubriachezze e nelle sollecitudini della vita presente e che quel giorno (del Giudizio) non vi piombi addossi improvviso” (Lc 21,34).
- L'intemperanza infiacchisce la volontà, con conseguenze deleterie anche in altri settori morali, primo fra tutti quello della castità. Ma non solo: l'intemperante è spesso pigro, ozioso e prova repulsione per tutto ciò che richiede fatica e impegno.
- Anche nello studio e nel lavoro intellettuale l'intemperante si ritrova intorpidito. Si direbbe che più si riempie lo stomaco e più si svuota la testa! Le facoltà intellettuali si esplicano in senso inverso allo sforzo che per la digestione deve compiere lo stomaco.
- Quasi sempre ne risente la salute fisica. Non per niente si dice che: ”Ne ammazza più la gola che la spada”.
È chiaro che i danni si moltiplicano quando dai disordini nel mangiare si passa a quelli del bere.
Perciò S. Paolo scrive: “Molti, ve l'ho già detto più volte e ora con le lacrime agli occhi ve lo ripeto, si comportano da nemici della Croce di Cristo: la perdizione però sarà la loro fine, perché essi, che hanno come dio il loro ventre, si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose della terra” (Fil 3,18-19).
► Quali possibili rimedi?
● La temperanza, che si esprime qui col digiuno nelle sue varie forme, è il miglior rimedio per conservare la salute, per tenere il corpo e i suoi sensi soggetti all'anima, per favorire le opere di carità, la vita spirituale e il rapporto intimo con Dio nella preghiera.
Nell'insegnamento di Gesù, degli Apostoli e degli autori cristiani, preghiera e digiuno camminano, infatti, paralleli.
- Incominciamo a inserire nel nostro esame di coscienza anche questo punto della temperanza.
- Abituiamoci a mangiare nei tempi stabiliti e non in ogni momento.
- Osserviamo il digiuno prescritto dalla Chiesa (mercoledì delle Ceneri, Venerdì santo e, possibilmente, Sabato santo) e l'astinenza dalle carni (obbligatoria i venerdì di Quaresima, consigliata gli altri venerdì dell'anno).
- Se abbiamo responsabilità educative nei confronti dei bambini, stimoliamoli fin dall'infanzia a piccoli “fioretti”. Cerchiamo di evitare che scartino i cibi per capriccio.
La sobrietà e la mortificazione cristiana nel campo della gola ci aiuteranno certamente a ricollocare il piacere del mangiare e del bere al loro giusto posto e a riscoprire ricchezze spirituali soffocate dal disordine del vizio della gola.
INVIDIA |
► Annoverata da S. Paolo tra le opere della carne (Gal 5,19), l'invidia è tristezza del bene altrui, percepito come ostacolo al proprio valore personale, diminuzione o oscuramento del proprio interesse. Figlia della superbia, negazione dell'amore fraterno, l'invidia è un vizio pessimo anche sul piano umano, oltre che molto pericoloso. Infatti, è proprio per invidia che avvenne l'uccisione di Abele da parte di Caino. E quanti dopo questo, fino alla morte stessa di Gesù. La riuscita degli altri è percepita come oscuramento e diminuzione di sé, un qualcosa che fa ombra, che fa sfigurare, che emargina... Così, si è pronti a “mordere” chi dà fastidio, non indietreggiando neppure dinanzi al delitto.
È sempre il cuore dell'uomo il punto di partenza del grande male o del grande bene che c'è nel mondo. Questo ci dice che a preservare la società da certe macroscopiche piaghe morali, come la mafia, per esempio, non bastano i carabinieri e la polizia, se non avviene la conversione dei cuori. Un'altra particolarità dell'invidia è che essa è uno dei primi vizi a manifestarsi nel bambino, segno evidente delle spinte negative che il peccato originale ha innestato nella natura umana, corrompendola in profondità.
► L'invidia è un vizio grave, anzi gravissimo, perché è la negazione assoluta della carità verso il prossimo, com'è proposta dalla legge di Dio: “Da questo conosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri”, dice Gesù. Perciò S. Paolo conclude il testo sulle opere della carne affermando: “Circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il Regno di Dio” (Gal 5,21).
Può accadere - il più delle volte, speriamo - che l'invidia non sia peccato mortale, perché spesso manca il pieno consenso o la piena avvertenza, o perché, più che di vera invidia, si tratta di reazioni involontarie o semi volontarie. Tuttavia, conviene che riflettiamo seriamente sui sentimenti cui andiamo soggetti, specialmente se ritornano frequentemente, perché sono certamente indicativi di quello che siamo dentro, almeno potenzialmente.
► “Dove c'è gelosia - scrive S. Giacomo - c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni” (Gc 3,16). L'invidia e la gelosia sono fonti di rabbia, di rancore e di odio; portano alla maldicenza, alla calunnia e alle ingiurie, e, nei casi estremi, persino al delitto, come abbiamo detto.
Seminano divisioni, anche nei gruppi e nelle comunità ecclesiali. Si, perché l'invidia e la gelosia possono avvenire anche tra gruppi e associazioni che dovrebbero, invece, essere vicini per l'ideale comune del Regno di Dio.
► Quali rimedi si possono proporre?
● Nutrire gli ideali di servizio, di donazione, di missionarietà. L’invidia è un vizio meschino, che fa ripiegare su se stessi, mentre tutto ciò che ci obbliga a uscire dal nostro egoismo ed egocentrismo per aprirci a Dio e ai fratelli, è un efficace antidoto.
Sintomatica la risposta di Giovanni Battista a chi gli faceva notare il crescere della fama di Gesù: “Bisogna che Lui cresca e io diminuisca!”.
● Pensare spesso alla caducità dei cosiddetti beni terreni (ricchezza, bellezza, forza, salute, fama, ecc.) che ne sono l’oggetto. Una cosa che non mi interessa non mi attira, non mi agita, non mi turba.
● Trarre dalla dottrina paolina del Corpo Mistico tutte le possibili conseguenze, come quella di considerare il bene, il vero bene, di un membro come il bene di tutto il Corpo e di tutte le altre membra, quindi anche mio. Anticipazione di quella Comunione dei Santi dove tutto sarà in comune.
E terminiamo con quattro osservazioni pratiche:
1. Attenzione a non fomentare invidie attorno a noi, usando parzialità di comportamento o predilezioni, soprattutto se si ha un ruolo direttivo o educativo. Lo stesso patriarca Giacobbe, volendo, se fosse stato più prudente nella sua predilezione verso il giovane Giuseppe, non sarebbe stato causa, sia pure involontaria, delle trame e dell'ira contro di lui da parte dei fratelli.
2. Non reagiamo con avversione, anzi con cordialità e amore, verso chi capiamo prova invidia verso noi o altri.
3. Se vogliamo essere membra vive ed operanti della Chiesa, dobbiamo preoccuparci di sviluppare tutto ciò che ci unisce, che ci mette in armonia, e questo con tutti, ma specialmente all'interno delle realtà dei gruppi ecclesiali.
4. Sforziamoci di scoprire ogni più piccolo bene nel nostro prossimo, sia a livello materiale che spirituale, e poi cerchiamo di gioirne, rendendo gloria al Signore e valorizzandolo. Questo esercizio ci aiuterà a crearci un cuore limpido e ad avere purezza di intenzioni.
AVARIZIA |
► È un attaccamento disordinato al denaro e alle ricchezze, per cui o si è troppo attaccati a quello che si ha, o si cerca avidamente quello che non si ha.
È, dunque, un errore credere che questo vizio sia solo dei ricchi; ci possono essere poveri avari e ricchi liberi dalle proprie ricchezze e molto generosi. Per questo Gesù dichiara: “beati i poveri in spirito” (Mt 5,3).
Altro errore è credere che siano avari solo quelli che ammucchiano privandosi del necessario, gli “spilorci”, per intenderci. Sono avari, invece, anche quelli che smaniano per avere soldi e mezzi, per servirsene per soddisfare altre passioni e vizi, perché, sostanzialmente, l’avarizia sta nel desiderare e ricercare avidamente cose materiali, qualunque sia lo scopo per cui le ricercano. Gesù, infatti, narra la parabola del ricco epulone (Lc 16), che certo non seppelliva i suoi tesori, ma li sperperava in una vita gaudente, incurante del povero.
Prodigalità e avarizia sono sorelle, quando si scialacqua per sé e si è spietati con gli altri. Tra l'altro, questo vizio è presente in germe già nei bambini più piccoli. Spesso lo si nasconde sotto i più fantasiosi pretesti: previdenza, risparmio, necessità di famiglia, avvenire dei figli, ecc.
► La malizia di questo vizio viene espressa molto bene da S. Paolo, che la definisce una specie di idolatria: “Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che disobbediscono” (Col 3,5-6).
L’avaro trasferisce nei beni il culto che è dovuto solo a Dio. Infatti, è Lui che dovremmo riconoscere come nostro ultimo fine, aderendogli con viva fede, speranza e amore, pronti a sacrificare tutto per Lui. L’avaro, invece, fa questo nei confronti dei beni.
Per questo S. Paolo afferma anche dell’avarizia ciò che dice per la superbia: “Non abbiamo portato nulla in questo mondo e nulla possiamo portarne via. Quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, contentiamoci di questo. Al contrario coloro che vogliono arricchirsi cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie inescusate e funeste, che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione. L’attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori” (1Tm 6,7-10).
L'avaro calpesta l’amore di Dio e del prossimo. Non ha mai tempo per le cose di Dio e per i doveri religiosi, nessun interesse per la vita spirituale, ma anche nessun riguardo per il bene del prossimo, divenendo esigente, inesorabile, crudele, speculando addirittura sulle necessità e disgrazie altrui (vedi l’usura, le tangenti ecc.).
L’avarizia fa calpestare anche i doveri e i vincoli più sacri e cari, come quello della pietà verso i genitori, dell’affetto verso i parenti più stretti. Non è forse l’interesse e l’attaccamento economico quello che semina liti e contese a tutto spiano, odio implacabile tra fratelli e congiunti?
E si può giungere facilmente anche al crimine.
L’avaro si mette sotto i piedi persino i doveri più fondamentali della giustizia.
Brama la roba altrui; non esita ad eliminare un competitore negli interessi; provoca qualsiasi danno per ricavarne un vantaggio personale; mente e imbroglia in qualsiasi occasione.
Forse, quasi tutte le ingiustizie che si commettono nel mondo sono ispirate dall’interesse egoistico di qualche avaro.
“Le bestie più feroci - dice S. Agostino - hanno un limite nei loro desideri, perché aggrediscono finché si sentono stimolate dalla fame, ma quando sono sazie lasciano la preda. L’avarizia, invece, è una fiera che non si sazia mai”.
► Dinanzi a questi evidenti e gravissimi danni dell’avarizia dobbiamo puntare a rimedi efficaci, e, come sempre, li troveremo in direzione opposta a quella del vizio.
Cosa fa l’avarizia? Fa ripiegare l’uomo sulle cose, su interessi meschini. L’avaro è odioso ai parenti, inutile agli amici, molesto ai vicini.
Allora bisogna:
● Educare il cristiano, fin dall’infanzia, all’atteggiamento opposto, del dono, del mettersi al servizio, del vivere la propria vita come una missione. Al vero spirito ecclesiale, che consiste appunto nello spendersi nella comunità e per la comunità. Impegnare in questa direzione i momenti più significativi della stessa vita sacramentale, come l’esigenza di diventare noi stessi “eucaristia” per gli altri, lasciandosi “divorare” dalle loro necessità.
Tutti coloro che hanno qualche compito educativo nei confronti dell’infanzia tengano in giusto conto che ogni vittoria su questo campo può risultare fondamentale per lo sviluppo dell’impostazione cristiana della vita e persino seme di vocazione.
● Fare della famiglia, in modo speciale, il luogo dell'altruismo, dell'educazione all'attenzione dell'altro, della lotta allo spreco e al consumismo ma anche alle chiusure e ai ripiegamenti sui bisogni del singolo a discapito dell'altro.
● Nutrirsi di preghiera e di parola, l'unico vero tesoro, di cui arricchirsi in abbondanza, capace di rendere liberi e non schiavi.
(pro - manoscritto ad uso interno della comunità)