I Quaderni della Comunità n° 1/2009
Comunità S. Volto di Gesù
……… Torino ………
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Sede: Via Refrancore, 86/6
10151 Torino
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CAMMINO DI FORMAZIONE PER LA PREGHIERA:
colloquio, lode, domanda, intercessione
(pro - manoscritto ad uso interno della comunità)
1) L’importanza della preghiera
L’enunciato del titolo della conversazione di oggi richiama orizzonti così vasti che ben difficilmente possono essere esauriti; parlare della preghiera in genere richiederebbe tanto tempo, spazi e strumenti assai maggiori e……..relatori di maggior peso!
Tenterò allora soltanto di porre, con voi, lo sguardo su Colui che è il centro di tutto il nostro interesse: Gesù, il nostro amico, maestro, pastore, salvatore, signore.
Proviamo a cogliere nella sua persona, come è descritta nei Vangeli, i tratti dell’orante.
È un pio Ebreo che canta i Salmi e proclama la Legge? Si. Ma non basta.
È un profeta che annuncia una redenzione? Si, in modo straordinario, ma non basterebbe. È un rabbì che cura amorevolmente i suoi discepoli conducendoli ad una sapienza di vita? Certo ma va ben oltre. Li chiama a “ stare con Lui”.
I suoi discepoli non sono “perfetti”: Nella combriccola del Nazareno si discute di soldi, si aspira ad essere i più grandi, c’è incredulità, fatica, scarsa recettività per la parola del Maestro, dubbi, paure, preoccupazione per le cose del mondo, convinzione di aver sempre ragione, desiderio di incarichi…….(come nella chiesa di oggi e di sempre).
Ma c’è una cosa che affascina loro e noi, vedere il Maestro che prega fino a suscitare la domanda “insegnaci a pregare”.
Perché Gesù prega, è sempre in colloquio col Padre. Prima di scegliere i dodici, prima di moltiplicare i pani, prima di placare le onde in tempesta, per le guarigioni, per offrire se stesso, per implorare l’unità, per chiedere lo Spirito. Prega dunque nella sua missione pubblica e cerca appena può un momento di solitario incontro, così i discepoli sono affascinati da quei momenti di intimità con Dio.
Gesù in quei momenti è il Figlio. Daniel Ange dice che nel giorno della Trasfigurazione Gesù è apparso non in forma straordinaria ma quale Egli è. Il miracolo non è dunque che in quel momento le vesti ed il volto risplendano ma che per tutto il resto della vita la realtà del figlio di Dio abbia abitato nascostamente in quel corpo umano, in quel carpentiere, in quell’uomo “come noi”.
Gesù, dunque, nell’incontro con il Padre è precisamente la sua realtà più autentica. In comunicazione con Dio risplende Dio, la Luce viene dalla Luce. Ma poiché Egli è il Verbo incarnato, questa dinamica non è fine al suo rapporto col Padre ma vi coinvolge tutta l’umanità.
Colui che pubblicamente chiama Dio “Padre”, ai discepoli che chiedono “insegnaci a pregare” dice: pregherete così: “Padre”.
Ma un uomo può dire “Dio – Padre”? È di un’ audacia terribile! Se ci pensiamo davvero, in tutta la profondità di questa espressione la nostra fragilità vacilla, la nostra finitezza ci ricaccia indietro, la mente quasi rifiuta il legame e molte religioni che pure venerano l’unico Dio ci ammoniscono: “ognuno al suo posto! Dio è l’Altissimo e tu, uomo, non ti permettere queste confidenze”.
Infatti noi diremo “Padre” solo quando questa parola la raccoglieremo ancora una volta dalla sua bocca, dalla sua Parola, nel suo Nome.
È Gesù l’orante e la nostra preghiera è condivisione della sua. Pregare “per conto nostro” con impegno intellettuale, con programmi, con imposizioni volontaristiche, con sforzi di meditazione (anche se queste non sono cose da disprezzare) può essere come agitare i remi in un oceano immobile. Pregare con Gesù, in Gesù, attraverso Gesù è la grazia di essere figli nel Figlio, servi con il Servo, eredi con Lui. Nel mare calmo trovare la corrente che, meravigliosamente procede in una giusta direzione e allora appoggiarvicisi e scoprire che ci porta velocemente a destinazione. Lui è la Via.
E dov’è Gesù quando io prego? È qui, in me, con il suo Spirito.
Il protagonista della mia preghiera è lo Spirito Santo perché mi dà la sete di Dio e mi dice la sete di Dio (D.Paolo Ripa). Mi comunica e mi rivela Gesù e mi coinvolge nello sguardo d’amore che passa dal Padre al Figlio. Preghiera è realtà trinitaria, entrare nel senso della storia e del mio oggi, del cosmo e di me, unità nel creato e unità della mia persona, comunione con tutti i Santi.
La comunione con il Padre, il Figlio, lo Spirito, le realtà celesti può rivelarsi con sfumature diverse secondo i miei tempi e le singole circostanze (quante volte possiamo dire: ho avuto un lungo tempo di preghiera con Maria, ora sento prevalentemente il soffio dello Spirito….) e insieme a questo evento di comunione siamo liberati dalla parte oscura di noi, da quel ripiegamento narcisistico (come sono bello) o depresso (come sono brutto) che sovente sgorga dall’eccessiva autocontemplazione.
Come Gesù sfolgora nella sua realtà di Figlio di Dio quando prega (anche quando la preghiera è sofferto abbandono alla Volontà del Padre) così l’uomo, la donna che prega in Gesù è lì autenticamente figlio e figlia, la Chiesa stessa è quello che deve essere: corpo di Cristo, sacramento di salvezza perché lo Spirito ci configura al Figlio e il Padre lo riconosce in noi!
La preghiera, certo, si alimenta. Con la fede, credendo che questo dono Dio l’ha già dato (a me, come a quelle sante persone che mi sembrano irraggiungibili) e che ora, semplicemente va messo in gioco. Oggi per crescere. Domani, forse, per resistere. Un giorno, forse, per ricominciare. C’è la luce e viene anche la noche oscura:
Is. 21,12 La sentinella risponde:
“Viene il mattino, poi la notte;
se volete domandare, domandate,
convertitevi, venite!”
Poi – se la preghiera è realtà di comunione anche coi fratelli – dovrò abbandonarmi nella fiducia e nell’obbedienza.
Nell’obbedienza perché mi salverà dall’aridità, l’esortazione anche ruvida di un direttore spirituale o di un fratello anziano: “fai così” comincia con questa Parola “canta a squarciagola questo inno…...”
A Samuele il suggerimento “Parla o Signore, che il tuo servo ti ascolta” arriva, in fondo, da un anziano sacerdote non privo di colpe che ha problemi con i figli ribelli…….
Nella fiducia perché se avrò la sensazione che la mia preghiera sia debole, saprò che Gesù, il Figlio alza con me la voce al Padre e i fratelli – benedetta la loro fede! – si uniranno alla mia preghiera.
Quante volte ci sentiamo deboli nella nostra preghiera e , però, pensando alle anime buone che innalzano la loro voce a Dio, riprendiamo coraggio…..quante volte osiamo fare o dire per il bisogno dell’altro quello che non ci sentiremmo di fare o dire per noi……è la meraviglia della comunione!
CCC 2656 Si entra nella preghiera come si entra nella Liturgia: per la porta stretta della fede.
Qualche ulteriore approfondimento.
· Se diciamo che lo Spirito Santo è protagonista della preghiera non aspettiamoci che agisca solo quelle volte che raggiungiamo un senso di unzione, pace e leggerezza. Lo Spirito è già con noi nell’approccio, nel desiderio o nell’impegno di stare lì, nell’invocare la pace, nel ringraziare, nel cantare, nel chiedere……….
· Se parliamo di “uscire da noi stessi” non si vuol dire che neghiamo o dimentichiamo il nostro corpo, la nostra vita quotidiana, o che disprezziamo la nostra realtà umana. È infatti il figlio che viene fuori. Quanta infelicità ci creiamo perché vorremmo essere diversi, con un altro corpo, con altri sentimenti, con un ‘altra storia. Invece nel tempo della preghiera siamo nudi, si sospendono poco a poco le maschere, cadono le apparenze, sentiamo lo sguardo del Padre che “mi ama così come sono”.
· Siamo chiamati a “pregare incessantemente” ma si può? Si se la preghiera diventa il lievito di tutta la tua vita e, d’altra parte, il nostro impegno quotidiano è vissuto con Gesù e offerto attraverso Lui. Mi è piaciuta la sottolineatura di un sacerdote che, citando il famoso detto di Agostino diceva:
chi canta prega due volte, se prega. Così chi lavora prega servendo se veramente mette il cuore in Dio, anche in momenti appositamente dedicati.
Prega incessantemente colui che unisce la preghiera alle opere e le opere alla preghiera. Soltanto così noi possiamo ritenere realizzabile il principio di pregare incessantemente [Origene, De oratione, 12].
Potremmo parlare della preghiera liturgica, dell’adorazione, dell’ascolto. Di tutti quegli stili di preghiera che possiamo ritrovare nella pratica personale e comunitaria. Non possiamo farlo qui in modo completo. Sento l’esigenza però che si riesca ad illuminare, oggi, tre punti.
il colloquio
a. la lode
b. la domanda
2. Solo una parola sul COLLOQUIO. È un aspetto della preghiera personale.
Dopo che hai ascoltato la Messa, dopo che hai detto il Rosario, letto i Salmi, cantato, studiato e meditato; ovvero se hai fatto alcune o tutte queste cose, va benissimo ma quel che conta è un rapporto personale con Dio. Lascia che una Parola ti spogli, percepisci lo sguardo del Padre che ti ama stendendosi su ogni ambiente dove vivi, su ogni minuto della tua giornata, senti la sua pazienza, stupisciti per la sua stima per te, cogli che sei debole e prezioso, povero ma ricco, malato ma meraviglioso e lascia che Lui ti ami. Digli le tue cose, come faresti con un buon amico, e stai un momento a sentire se c’è qualche risonanza. Esci da questo momento con una formula di benedizione, un canto, una orazione detta con calma.
Se ci lasceremo attraversare dallo sguardo del Padre non dubiteremo mai più della nostra sorte.
Occorrerebbe parlare a lungo di cosa sia la lode e quanto bene possa fare a noi e a coloro che amiamo. Se i gruppi di preghiera nello Spirito hanno riscoperto questa dimensione gratuita di comunicazione con Dio, siamo cresciuti nell’esperienza che si esce dalle nostre gabbie, si fa memoria dei benefici ricevuti, si permette a Dio di operare ancora nei cuori degli uomini. La gratitudine è un vento che dissipa le nebbie dei nostri malumori e dei rancori. Dobbiamo chiedere e attendere che si rivelino i doni della Sapienza e dell’Intelletto per leggere le vicende con gli occhi di Dio “Spirito, cambia i nostri occhi, fa che noi vediamo la bontà di Dio per noi”.
3. LA LODE ED IL RINGRAZIAMENTO sono la chiave della felicità. La guarigione dal brontolamento viene dal riconoscere che ci sono cose importanti e altre assai meno e che le prime sono saldamente in mano a Dio, che le dispone a nostro favore. Si parla spesso del “sacrificio della lode” ossia del non facile atteggiamento che benedice anche quando ciò non è spontaneo, che ringrazia anche per le faccende che paiono contrarie al nostro bisogno di bene. E abbiamo fatto tutti l’esperienza che, uscendo dalla malinconia, forzando la stanchezza, rompendo gli indugi, abbiamo ricavato energia maggiore di quella che abbiamo impiegato. È infatti il principio della decima: si offre con fatica ma il Signore moltiplica e restituisce:
Sal 126,6 “Nell’andare, se ne va e piange,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con giubilo,
portando i suoi covoni.
4. La preghiera di DOMANDA è il perno dell’intercessione. Innanzitutto non va disprezzata. Pur se daremmo la priorità alla lode, dobbiamo riconoscere che la persona che domanda a Dio ha almeno cominciato a porsi in una relazione e in una attesa. La chiesa domanda: venga il Regno! La creazione geme “nelle doglie del parto” (Rom. 8,22) e San Paolo descrive anche il nostro gemito, nell’attesa della “redenzione del nostro corpo; poiché nella speranza noi siamo stati salvati” (Rom. 8,23-24); infine i “gemiti inesprimibili” dello stesso Spirito Santo, il quale “viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare” (Rom. 8,26).
Però giustamente si fa notare che non dobbiamo prendere il tono della lamentazione: nel Nuovo Testamento ove noi viviamo, la realtà è Gesù risorto. Spesso invece ci rivolgiamo a Dio come se gli dicessimo “Perché ti fai pregare?” Quale potrebbe essere la sua risposta?
Allora domandiamo. La preghiera di Gesù è anche fatta di tante domande.
Lui non domanda perdono (perché è il Santo, tuttavia si assoggetta al battesimo penitenziale) ed invece noi facciamo assai bene a domandare innanzitutto perdono, primo moto della preghiera di domanda [Cf il pubblicano: “abbi pietà di me peccatore” (Lc. 18,13). L’atto di sincerità è preliminare ad una preghiera giusta e pura. L’umiltà confidente ci pone nella luce della comunione con il Padre e il Figlio suo Gesù Cristo, e gli uni con gli altri: [1Gv. 1,7 e 2,2] allora “qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui” (1Gv. 3,22). La domanda del perdono è l’atto preliminare della liturgia eucaristica, come della preghiera personale.
Poi “venga il tuo regno” e tutto ciò che concorre al Regno. Invocare il Regno è anche interpellare noi stessi sulla disponibilità a dare innanzitutto la nostra vita perché il Regno si diffonda.
L’intercessione è una preghiera di domanda che ci conforma da vicino alla preghiera di Gesù. Abbiamo già capito che è Lui l’unico Intercessore presso il Padre in favore di tutti gli uomini, particolarmente dei peccatori.
“Chi condannerà? Cristo Gesù che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?”
(Rm. 8,34)
“……abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto.” (1Gv. 2,1)
“Egli può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore” (Eb. 7,25)
Lo spirito Santo stesso < intercede per noi > e la sua intercessione < per i credenti > è < secondo i disegni di Dio > (Rm. 8,26-27)
CCC 2635 Intercedere, chiedere in favore di un altro, dopo Abramo, è la prerogativa di un cuore in sintonia con la misericordia di Dio. Nel tempo della Chiesa, l’intercessione cristiana partecipa a quella di Cristo: è espressione della comunione dei santi. Nell’intercessione, colui che prega non cerca solo “il proprio interesse, ma anche quello degli altri” (Fil. 2,4), fino a pregare per coloro che gli fanno del male [Cf Stefano che prega per i suoi uccisori, come Gesù: cf At. 7,60; Lc. 23,28; Lc. 23,34].
E noi preghiamo per tutti, senza distinzioni “per tutti gli uomini……per tutti quelli che stanno al potere” (1Tm. 2,1), per coloro che perseguitano, [Rm. 12,14] per la salvezza di coloro che rifiutano il Vangelo “Fratelli, il desiderio del mio cuore e la mia preghiera sale a Dio per la loro salvezza”. (Rm. 10,1)
Con Maria, contemplazione orante del Mistero dell’Incarnazione. Lei precede il nostro bisogno “Non hanno più vino”.
Portando i pesi gli uni degli altri, come gli amici del paralitico.
Nella confidenza dei figli.
Talvolta pensiamo di non essere esauditi ma chiediamo nel nome di Gesù? Chiediamo le cose convenienti? Dio conosce i nostri bisogni, ma aspetta la nostra domanda perché la dignità dei figli sta nella loro libertà. (CCC 2736)
Non rammaricarti se non ricevi subito da Dio ciò che gli chiedi; egli vuole beneficiarti molto di più, per la tua perseveranza nel rimanere con lui nella preghiera [Evario Pontico, De oratione, 34: PG 79; 1173].
Egli vuole che nella preghiera si eserciti il nostro desiderio, in modo che diventiamo capaci di ricevere ciò che egli è pronto a darci [Sant’Agostino, Epistulae 130, 8, 17: PL 33, 500].
CCC 2739 La trasformazione del cuore che prega è la prima risposta alla nostra domanda.
CCC 2740 La preghiera di Gesù fa della preghiera cristiana una domanda efficace. Egli ne è il modello, egli prega in noi e con noi. Poiché il cuore del Figlio non cerca se non ciò che piace al Padre, come il cuore dei figli di adozione potrebbe attaccarsi ai doni piuttosto che al Donatore?
Se Gesù prega anche per noi, al nostro posto e in nostro favore la nostra domanda è efficace: tutte le nostre domande sono state raccolte una volta per sempre nel suo Grido sulla croce ed esaudite dal Padre nella sua Risurrezione, ed è per questo che egli non cessa di intercedere per noi presso il Padre [Cf Eb. 5,7; 7,25; 9,24].
Se la nostra preghiera è unita a quella di Gesù, nella confidenza e nell’audacia filiale, noi otteniamo tutto ciò che chiediamo nel suo Nome; ben più di questa o quella cosa: lo stesso Spirito Santo, che comprende tutti i doni.
5. COS’È L’INTERCESSIONE
Alla domanda: “Cos’è l’intercessione?”, molti credenti darebbero la risposta unanime: “Preghiera!”. Se così fosse, è strano che la parola intercessione venga menzionata in un contesto separato dalla preghiera: Come esempio prendiamo 1 Timoteo, capitolo 2 dove l’apostolo Paolo menziona “suppliche, preghiere, intercessioni, ringraziamenti”, come quattro diversi aspetti nell’esercizio della preghiera. Ciò ci dà ragione di credere che ci sia differenza tra la preghiera e l’intercessione. Proviamo quindi a definire cosa significhi davvero intercessione.
Intercedere significa “porsi tra……”. Tale azione descrive il modo in cui qualcuno possa deliberatamente intervenire tra due parti agendo da intermediario. È interessante notare che la parola intercessione non implica specificatamente la preghiera. Possiamo quindi concludere che l’intercessione va al di là della preghiera normale.
Intercessione è quindi la posizione che prendiamo di fronte a Dio per una particolare situazione e per una specifica causa. Visto in questo contesto non è quindi qualcosa che possiamo portare a termine in un paio di ore.
In altre parole è un impegno per 24 ore al giorno finchè Dio ci fa capire che la situazione sia risolta. Il che significa che l’intercessore è davanti a Dio consciamente e costantemente, anche se effettivamente è in grado di pregare solo per una piccola parte del suo tempo.
Nell’Antico Testamento, Mosè probabilmente l’esempio più chiaro di quello di cui stiamo parlando. Non si limitò a pregare per il popolo quando Israele aveva commesso l’idolatria, ma assunse la posizione di intercessore davanti a Dio (Esodo 32,7-14).
Nel Salmo 106,23 leggiamo:
“Egli parlò di sterminarli; tuttavia Mosè, suo eletto, stette sulla breccia davanti a Lui per impedire all’ira sua di distruggerli”.
Mosè implorò che Dio perdonasse il popolo (la parola preghiera non è menzionata in questo caso). Non furono le sue parole quanto la posizione che egli prese davanti a Dio ad aver tale impatto. Mosè arrischiò d’opporsi a Dio quando Egli s’infurio contro Israele e voleva consumarlo. L’eterno gli disse: “Lasciami fare!” ma Mosè mantenne ferma la sua posizione. Continuando ad impegnarsi come intercessore, Mosè divenne un muro protettivo contro l’ira di Dio.
Quando il Signore Gesù disse di “pregare sempre” (Luca 18,1), probabilmente si riferiva ad un tale impegno. Certamente non intendeva costringerci a pregare 24 ore al giorno, quanto piuttosto di rimanere con un costante atteggiamento e posizione di fede nel nostro spirito pur continuando le attività quotidiane.
Il profeta Isaia nel capitolo 62 ai versi 6-7, parla del ruolo delle sentinelle:
“Sulle tue mura, o Gerusalemme, ho posto delle sentinelle, che per tutto il giorno e tutta la notte non taceranno mai. Voi, che ricordate all’Eterno le sue promesse, non state in silenzio, e non dategli riposo, finché non abbia ristabilito e reso Gerusalemme la lode di tutta la terra”
(Vers. Nuova Diodati).
Qui leggiamo di intercessori che non pregano occasionalmente per Gerusalemme ma rimangono fermi nel loro impegno sino a che il Signore non manterrà le Sue promesse. Sono davanti a Dio “giorno e notte” e non Gli danno tregua.
Derek Prince, in uno dei suoi libri, spiega che la parola sentinella in ebraico può essere tradotta anche con “segretario”, e continua il suo discorso sottolineando quelle che sono le caratteristiche di un segretario: conosce l’agenda del suo capo, è lì per ricordargli tutti i suoi impegni, ecc.. Questa è una buona illustrazione del lavoro di un intercessore. Noi dovremmo sapere ciò che è nell’agenda di Dio e continuamente ricordarGli ciò che Lui ha promesso di fare nella Sua Parola. Dobbiamo imparare a rimanere fedeli al nostro ruolo di intercessori finché non succede qualcosa riguardante ciò per cui stiamo pregando. La costanza è quindi una delle caratteristiche più basilari di un intercessore.
Il secondo aspetto di questo ministero è la costante richiesta di sacrificio. Quando preghiamo normalmente, non dobbiamo necessariamente sacrificare granché, eccetto forse una parte del nostro tempo durante il quale ci soffermiamo a pregare per una certa situazione o per alcuni dei nostri amici.
Possiamo perciò rimanere nella nostra sicura posizione, nel nostro angolo tranquillo e pregare per persone che si trovano in circostanze difficili o in grande bisogno.
Non voglio assolutamente affermare che tale preghiera non sia valida. Tutte le preghiere hanno valore e portano frutto col tempo. L’intercessione però richiede sacrificio, la capacità cioè di identificare noi stessi con la persona per la quale vogliamo intercedere presso Dio e ciò potrà essere possibile solo attraverso l’aiuto dello Spirito Santo. Anche se siamo lontani dalla persona per cui stiamo pregando, lo Spirito ci aiuta ad entrare “nei panni” di quella persona e assumere quel peso su noi stessi.
6. L’esempio di Gesù e dell’apostolo Paolo
Il più grande esempio di intercessore nella Bibbia è proprio il Signore Gesù. In Romani 8,34 e in Ebrei 7, 25-27, leggiamo che Gesù ha sempre agito da intercessore davanti al trono di Dio. Questo è il ministero che ha svolto dalla Sua ascensione al trono dove ora siede alla destra del Padre. Gesù è il nostro intercessore, l’intercessore della Chiesa, l’intercessore del popolo d’Israele e l’intercessore del mondo. Egli ha avuto un ministero su questa terra di tre anni e mezzo ma mantiene la Sua opera d’intercessore da duemila anni. Entrambi i passi citati da Romani ed Ebrei sottolineano però che non è stato in seguito alle preghiere di Gesù che il Padre ci ha così tanto benedetto, bensì per la vita stessa che Gesù ha sacrificato per noi. Il sacrificio è ciò che rende potente l’intercessione. Il Signore Gesù sarebbe potuto rimanere a pregare per tutti noi in cielo, rattristandosi per i nostri peccati e implorando il Padre di perdonarci, ma scelse invece di lasciare la gloria celeste e umilmente divenne uomo, un uomo di sofferenza e di dolore che offrì se stesso per la redenzione dei nostri peccati.
Questa è la differenza fra intercessione e preghiera: l’intercessione richiede sacrificio ed è il sacrificio a toccare il cuore del Padre.
Si può immaginare che il Padre non possa rifiutare nessuna richiesta fattaGli dal Signore Gesù quando ha sempre davanti a Sé il ricordo del sacrificio per i nostri peccati compiuto dal Suo amato Figlio.
Quando studiamo la vita dell’apostolo Paolo, un altro grande intercessore nella storia della salvezza, troviamo lo stesso principio. In Romani 10,1-2 Paolo intercede per i suoi concittadini, gli Ebrei, scrivendo con passione:
“Fratelli, il desiderio del mio cuore e la mia preghiera a Dio per loro è che siano salvati. Io rendo loro testimonianza infatti che hanno zelo per Dio, ma zelo senza conoscenza”.
E nel precedente capitolo 9, al primo versetto, Paolo rivela i suoi sentimenti per il popolo ebraico scrivendo:
“Dico la verità in Cristo-non mento poiché la mia coscienza me lo conferma per mezzo dello Spirito Santo – ho una grande tristezza e una sofferenza continua nel mio cuore, perché io stesso vorrei essere anatema, separato da Cristo, per amore dei miei fratelli, miei parenti secondo la carne……”
È una delle più notevoli affermazioni di Paolo riguardo al suo travaglio per i suoi concittadini. Lo Spirito Santo stesso ispirando tali sentimenti nel cuore dell’apostolo, lo porta all’incredibile dichiarazione che lui stesso avrebbe voluto essere anatema, separato da Cristo se questo potesse servire in favore degli israeliti.
Qui Paolo rivela lo Spirito dello stesso Gesù Cristo, disposto a perdere la sua vita e ad essere separato eternamente da Dio se quel sacrificio avesse potuto mai portare i “suoi fratelli” giudei alla salvezza. Naturalmente il Signore non accetterebbe tale sacrificio da parte di Paolo. Anche se l’apostolo fosse separato da Cristo, tale sacrificio non servirebbe a salvare nessuno, perché solo la morte del Signore Gesù, il puro Agnello di Dio, può riscattare i peccati. Sicuramente però l’atteggiamento ed i sentimenti di Paolo avranno colpito il cuore del Padre. Di nuovo, nella vita di Paolo, viene drammaticamente illustrato il principio di sacrificio nella pratica d’intercessione perché altri possano venire alla conoscenza della verità. È nello spirito di sacrificio che si trova il segreto della grande potenza dell’intercessione.
Sempre in questo capitolo ho citato il Salmo 106 in riferimento a Mosè che, in veste di sentinella, si pose nella breccia per proteggere gli israeliti dall’ira di Dio. In Esodo 32, dopo che il popolo ebbe costruito il vitello d’oro, il furore di Dio desiderò la distruzione dell’intero popolo d’Israele ad eccezione di Mosè dal quale avrebbe creato una nuova stirpe. Mosè supplicò Dio perché perdonasse il suo popolo anche a costo di essere lui stesso escluso dal Libro della Vita. Mosè fu pronto a pagare un caro prezzo pur di placare l’ira di Dio nei confronti degli israeliti che, per ben quattro volte durante il viaggio nel deserto, a causa della loro ribellione spingevano Dio a voler distruggerli.
L’intercessione di Mosè e la sua determinazione a sacrificare la sua vita per il popolo toccò così profondamente il cuore di Dio tanto da farGli perdonare gli israeliti.
Non fu la preghiera di Mosè a salvarli, fu la sua offerta di sacrificarsi, lo spirito di rinuncia alla propria vita adottando, per così dire, lo spirito della Croce per portare beneficio e benedizione ad altri. Questo è ciò che toccò il cuore di Dio determinando il Suo perdono del grave peccato d’idolatria, permettendo al Suo popolo di continuare il cammino verso la Terra promessa.
In questo caso (come in quello dell’apostolo Paolo) Dio non accettò l’offerta di Mosè di sacrificare la propria vita per il popolo d’Israele, perché quando si intercede non si possono fare offerte di questo genere. Non c’era e non c’è bisogno che qualcun altro muoia per i peccati altrui, dato che Dio avrebbe provveduto a salvare tutti gli uomini con la morte del Suo amato Figlio, il Signore Gesù. Camminare nello stesso spirito è comunque importante; ci sono sempre tanti sacrifici che il Signore possa richiedere a noi e che possiamo fare affinché le nostre preghiere siano esaudite dai cieli.
Uno dei sacrifici più strettamente connessi alla preghiera e all’intercessione è il digiuno. Digiunare è rinunciare a un po’ di noi stessi. È un atto che darà sempre energia e potenza alla nostra intercessione, e quando le due cose vengono collegate rendono le nostre preghiere potenti ed efficaci nel raggiungere le mete della nostra intercessione.
Tali sacrifici sono preziosi per Dio perché dimostrano grande determinazione affinché le nostre preghiere siano esaudite. Quando il Suo popolo è disposto a “pagare il prezzo” perché Dio lo ascolti, il Suo cuore viene toccato a rispondergli meravigliosamente.
La potenza del digiuno può essere vista anche nella nostra società, fino a estremi negativi: abbiamo visto come lo sciopero della fame sia stato usato come potente strumento dalla gente. Mi trovavo in Irlanda un anno fa quando sentii dello sciopero della fame di cinque terroristi nel carcere di Maze, in Belfast. La decisione di voler digiunare sino a morire li trasformò addirittura in “eroi”, fino a potenziare la violenza e la dedizione di quelli che sostengono i disegni dell’ I.R.A.
Vediamo spesso come lo sciopero della fame venga usato per protesta contro decisioni prese dal governo, attirando i mass media e, molto spesso, ottenendo i risultati desiderati. Se il digiuno usato in questa maniera può creare un tale impatto nella nostra società, quanto più potente sarà il risultato del digiuno compiuto con amore davanti a Dio per salvare la gente dal giudizio e dalle calamità.
Vediamo così quanto sia importante l’essere disposti a pagare un prezzo, a dare qualcosa di noi stessi, il che indica non solo astenersi dal mangiare ma anche essere disposti a dedicare a Dio parte del nostro tempo. Lo facciamo veramente? È un sacrificio strategico se davvero vogliamo vedere Dio in azione.
Abbiamo bisogno di accantonare altre cose per riscattare periodi per cercare il volto di Dio per ciò che ci sta così tanto a cuore. Se non siamo disposti a mettere da parte ciò che occupa infruttuosamente il nostro tempo libero per poterci accostare a Dio con i pesi che serbiamo nel cuore, Egli non potrà concederci le vittorie ricercate attraverso la nostra intercessione. Oltre alla rinuncia del cibo, “digiunare” dalle attività e dalle cose che riempiono le nostre giornate è un altro esempio che dovremmo perciò assumere.
Un aspetto del nostro cammino col Signore che non sempre comprendiamo è che Egli non risponde alle nostre preghiere in tutta fretta! Sembra quasi che aspetti prima di rispondere. Potrebbero esserci infinite ragioni per questo: a volte, sembra che Dio vuol vedere quanto siamo seriamente impegnati per ciò per cui stiamo intercedendo. Ecco perché bisogna dedicare del tempo quando ci avviciniamo a Dio in preghiera. In Esodo leggiamo che il Signore chiamo Mosè sulla montagna e gli chiese di “fermarsi lì ed aspettare”.
Il Signore non sembra dare risposte veloci, vuole vedere se abbiamo un cuore costantemente inclinato alla Sua ricerca e se siamo perseveranti nel ricercare le Sue risposte. Spesso le nostre preghiere consuete sono frettolose e vengono altrettanto frettolosamente dimenticate. Forse Dio risponderà a tali preghiere, ma l’intercessione è tutt’altro: una battaglia di lunga durata, una prova della nostra fede e della nostra risolutezza. Senza sacrifici l’intercessione non potrà mai essere veramente efficace.
SANTO VOLTO DI GESU’
Tel. e fax 011-7395152
Via Refrancore, 86/6 - presso “Centro della
Divina Misericordia” - Torino
Venerdì ore 16 e sabato ore 15,30 incontro
di preghiera e di guarigione.
Quarta domenica di ogni mese (da settembre
a giugno) ore 9-12 preghiera di guarigione
comunitaria delle ferite emozionali; ore
14,30-18 culto a Gesù misericordioso,
intercessione ed eucaristia