QUANDO IL SIGNORE COSTRUISCE LA SUA CASA
Il tema di oggi trae spunto dal Salmo 126:
“Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode. Invano vi alzate di buon mattino, tardi andate a riposare e mangiate pane di sudore: il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno” (Sal 126,1-2).
Prima di addentrarci nel tema, vorrei sottolineare una caratteristica particolare che spesso troviamo nelle scritture, nell’Antico Testamento in particolare, dove gli autori sacri comunicavano le verità di fede ripetendo lo stesso concetto sotto due aspetti. Ciò si nota specie nei libri sapienziali, e tra questi particolarmente nei Salmi e in Proverbi. Un esempio potrebbe essere:
“Con la bocca l'uomo sazia il suo stomaco, egli si sazia con il prodotto delle labbra” (Pro 18,20).
Lo stesso concetto viene esposto due volte, in modo simile ma dando sviluppo al pensiero.
Così, andando al brano del Salmo 126, quando il Salmista ammonisce: “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori; se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode”, sta affermando la stessa verità e cioè che solo operare con Dio non rende inutile l’agire dell’uomo, ma applicandolo a diverse realtà.
L’opera del Signore è il tema, il ponte, che collega tra loro due pensieri: la casa che Lui costruisce; la città che Lui custodisce. Ne vedremo il senso.
Ma in che modo il Signore costruisce la casa e custodisce la città?
Direi che è da questa domanda che possiamo iniziare la nostra riflessione.
LA MIA CASA è CASA DI PREGHERA
“La mia casa è casa di preghiera”. Così dice il Signore in Isaia e così si esprime Gesù nell’episodio della cacciata dei venditori dal tempio (cfr. Is 56,7 – Mc 11,17), episodio dove Egli definisce anche cosa fa, invece, l’operare dell’uomo: “Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri”.
È la preghiera, dunque, che porta la presenza di Dio nella casa e la sua custodia alla città.
Diciamolo in altro modo: quando è il Signore a edificare la casa il lavoro dei costruttori non va sprecato; quando è il Signore a custodire la città non è inutile il vegliare del custode.
I Suoi piani di edificazione richiedono specificatamente che il Suo popolo preghi, ami, e sia disponibile all’azione dello Spirito; fortificato dalla sua unzione, per edificare e custodire la sua opera.
Il signore dice con chiarezza: “Edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18).
Egli dichiara, cioè, che quando la sua casa è costruita in comunione con Lui, in obbedienza alla sua Parola e nella preghiera, le forze del male sugli individui e sulle città non hanno potere e la sua benedizione riposa su di essi, come afferma con certezza san Paolo in Efesini:
“Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo” (Ef 1,3).
Ma non dimentichiamo che il maligno, come leone ruggente cerca di imporsi, con tutta la sua forza. È Gesù che ce lo dice:
“Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via l'armatura nella quale confidava e ne distribuisce il bottino. Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde. Quando lo spirito immondo esce dall'uomo, si aggira per luoghi aridi in cerca di riposo e, non trovandone, dice: Ritornerò nella mia casa da cui sono uscito. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui ed essi entrano e vi alloggiano e la condizione finale di quell'uomo diventa peggiore della prima” (Lc 11,21-26).
Queste parole dovrebbero farci riflettere molto.
…“Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde”;
…“Ritornerò nella mia casa da cui sono uscito.
È necessario essere con Dio perché, altrimenti, siamo e agiamo contro di Lui;
è necessario essere con Dio per raccogliere e non disperdere e perché il maligno non accampi dei diritti su di noi.
REGNO DI DIO, REGNO DI SATANA
Esiste una interazione, dunque, tra il mondo spirituale e i pensieri e le azioni degli uomini: il regno spirituale può essere occupato e può dare accesso sia agli angeli sia ai demòni; dipende dall’atteg-giamento dell’uomo.
Quando Satana, nelle tentazioni del deserto, dice a Gesù che tutto il mondo e la sua gloria sono stati dati a lui (cfr. Lc 4,6), dice una mezza verità.
Il mondo è stato dato veramente al diavolo ma non da Dio: dall’uomo!
Satana ha accesso solo al dominio delle tenebre; può occupare, cioè, solo quelle aree in cui l’uma-nità, per mezzo del peccato, glielo permette.
Quindi, se sulla terra c’è posto per satana è perché l’uomo glielo prepara.
Gesù dice ai suoi: “Tutto ciò che legherete sulla terra, sarà legato nel cielo; e tutto ciò che scioglierete sulla terra, sarà sciolto nel cielo” (Mt 16,19.18,18).
Notate che Gesù diede lo stesso insegnamento per due situazioni apparentemente differenti.
Il contesto di Matteo 16,18 tratta del diavolo, mentre Matteo 18,16 si focalizza sul peccato.
Queste due realtà sono collegate tra loro: la peccaminosità dell’umanità - pensieri, parole e azioni malvagie - è già di per se stessa il regno o dominio del diavolo sulla terra.
A noi, come ad Israele, il Signore propone un cammino di fede, in cui è essenziale lasciare che sia Lui a condurci, passo dopo passo, che sia Lui a costruire la casa.
Lo Spirito Santo è l’artefice di questa vita, Colui che ci abilita alla vita nuova in comunione con Dio.
Si tratta qui della vita concreta del credente, che trova riscontro nella “morale cristiana”.
Lo so che al sentire nominare il termine “morale” vi viene male al cuore; ed è per questo che ogni volta che posso introduco questo argomento.
È pensiero tristemente comune anche tra i credenti che “morale” sia sinonimo di vecchio, di cose ormai superate, che la Chiesa dovrebbe rivedere, perché il mondo va avanti e noi non possiamo non adeguarci.
Ma la “morale”, in realtà, altro non è che la vita nello Spirito, la vita che lo Spirito Santo cerca di realizzare in noi.
Purtroppo, col tempo, tutto si è ridotto all’elenco dei divieti e dei permessi, almeno nella mentalità comune, ma non è così.
Si tratta dell’agire che nasce dalla sottomissione a Dio e che non può che portare a determinati comportamenti.
Capite, allora, come l’argomento di oggi sia necessariamente collegato a questo aspetto della vita che definiamo “cristiana”.
● L'esistenza cristiana dovrebbe essere vissuta:
a. come vita spirituale, in quanto animata e guidata dallo Spirito che porta:
à a far riconoscere Gesù come il Signore,
à a far dire con Gesù: "Abbà, Padre" (Rm 8,15),
à che accompagna il nostro cammino di santificazione, la nostra trasformazione a immagine di Cristo, con le sue mozioni interiori,
à che ci rende ministri del suo regno d’amore nel mondo. (Divengo un “operatore” di salvezza per il mondo o, come direbbe il Signore, sale e luce del mondo o lievito buono che fa fermentare la pasta)
b. come relazione personale con Cristo, per cui:
- il Cristiano: à dovrebbe accettare il suo insegnamento, à e aderire alla sua persona.
- e lo Spirito Santo dovrebbe animare questa relazione: à unirci a Lui, à muoverci a seguir-
Lo, à renderci conformi a Lui.
● L'uomo che vive la sua relazione con Dio certamente viene trasformato in tutta la sua persona per diventare un "Uomo Nuovo" (Ef 4,24):
- riceve un nuovo modo di essere: perché è reso "partecipe della natura divina" (2Pt 1,4)
- e, di conseguenza, un nuovo modo di agire.
- ha tutta una dotazione spirituale a cui attingere per il suo cammino:
v Le Virtù Teologali che ci rendono capaci di comunicare con Dio e di unirci a Lui:
à la Fede, che ci apre all'accoglienza di Dio;
à la Speranza, fondata sull'amore onnipotente e misericordioso di Dio, nell’attesa
fiduciosa di giungere alla vita eterna;
à la Carità, riflesso in noi dello Spirito Santo Amore, che:
- ci rende partecipi dell'amore di Cristo,
- suppone e porta a compimento la Fede e la Speranza,
- è espressione della nostra unione con Dio, per cui siamo pronti a fare la sua volontà e ad amare gli altri come Egli li ama.
v Le Virtù Cardinali: à la Prudenza à la Giustizia à la Fortezza à la Temperanza
che sono le quattro fondamentali virtù umane e fanno da sostegno e riferimento a nu-
merose altre Virtù.
v I Doni dello Spirito: à Sapienza à Intelletto à Consiglio à Fortezza à Scienza
à Pietà à Timor di Dio.
§ Sono doni concessi a tutti, anche se con caratteristiche diverse
§ sono doni abbondanti, dati per la santificazione personale
(mentre i Carismi sono doni concessi per l'utilità e l’edificazione comune)
§ sono attitudini che rendono docili all'azione dello Spirito Santo e rendono facile e at-
traente l'esercizio delle Virtù, portandole a maturazione come "frutto dello Spirito"
(Gal 5,22: “Il frutto dello Spirito è: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”).
Tutto questo insieme di virtù, doni, frutto dello Spirito, esprime l’eccezionale ricchezza e vivacità della vita dei figli di Dio, della loro conformazione a Cristo.
Canto: “Roccia di fedeltà” (427)
ADAMO IL FIGLIO RIBELLE
Ma c’è un problema, un piccolo intoppo che è bene non sottovalutare: Adamo e il peccato.
Egli è stato creato perfetto, come testimonia Gen 1,31:
“Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona”.
Era stato creato con uno spirito che lo rendeva capace di essere in comunione con Dio, e fin da allora il fine di Dio per l'uomo era di fargli raggiungere “lo stato di figlio”.
Questa vita divina era rappresentata nel giardino dell’Eden, dall'albero della vita, il quale produceva un frutto che l'uomo poteva ricevere, accettare, mangiare.
Se Adamo si fosse incamminato volontariamente su questa strada, scegliendo di dipendere da Dio, e avesse ricevuto il frutto dell’albero della vita (che rappresenta la vita stessa di Dio), Dio avrebbe raggiunto il suo scopo: avrebbe ottenuto dei figli spirituali.
Ma se, al contrario, Adamo si fosse rivolto verso l'albero della conoscenza del bene e del male, sarebbe stato, in conseguenza, libero di svilupparsi secondo i suoi propri istinti, al di fuori di Dio.
Sappiamo, da Genesi, che cosa scelse Adamo e poiché questa sua scelta implicò una complicità con Satana, egli si trovò nell’impossibilità di raggiungere il fine al quale Dio lo aveva destinato.
L’uomo non poteva più tornare sui suoi passi e Dio ha dovuto intervenire per rimediare a questo stato di cose.
► Che conseguenze ha portato all’uomo aver ceduto alle lusinghe di satana, mangiando del frutto della conoscenza del bene e del male?
Determinò l'orientamento del suo sviluppo. Il frutto dell'albero della conoscenza fece del primo uomo un essere sovrasviluppato nel suo IO o PSICHE:
■ le emozioni furono toccate, perché il frutto era desiderabile agli occhi, ed egli desiderò;
■ la mente, con la sua possibilità di ragionare, si sviluppò;
■ la volontà si fortificò in modo da poter sempre decidere del suo cammino.
Uno può chiedersi: “Cosa c’è di male in questo? Si è sviluppato l’intelletto, si è rafforzata la volontà, cosa c’è di sbagliato?”.
Il fatto è che l’uomo ha perso il suo equilibrio. Il progetto di Dio prevedeva come motore e guida dell’esistenza umana lo spirito che Egli gli aveva donato; ora è la psiche a farla da padrone con i suoi desideri o, come direbbe San Paolo, con le sue passioni.
Il frutto servì alla fioritura e allo sviluppo della psiche e l'uomo cominciò a vivere soggiogato da essa, dal suo IO, dalla sua emozionalità, dalle sue passioni.
L'IO, col suo potere di libera scelta, prese il posto dello spirito come forza animatrice dell'uomo.
Questo è quanto satana ha prodotto per mezzo della caduta: egli ha spinto l'uomo ad impegnarsi in un cammino dove la sua psiche si sarebbe sviluppata a tal punto da diventare la sorgente della sua vita.
L’uomo finì per desiderare l’indipendenza da Dio e sostituirsi a Lui nel giudizio sul bene e sul male. Questa autonomia è l’origine di ogni peccato: è l’orgoglio stesso di satana.
Le conseguenze di questo sono note, per esperienza diretta, a tutti noi.
Ci troviamo a compiere il male che non vogliamo e a non riuscire a compiere il bene che vorremmo. E, spesso, pensiamo di agire per il Signore, mentre ciò che guida le nostre azioni è ben altro.
LA STORIA DI SALVEZZA
► Quale può essere il rimedio a tutto questo?
È necessario tornare al progetto originario: ad un IO sottomesso allo spirito.
L’IO è soggetto a uno sviluppo indisciplinato, a una crescita sregolata? Occorre agire perché si torni al controllo. Occorre che Dio elimini le conseguenze del peccato originale.
È importante che comprendiamo questo aspetto della salvezza, dell’agire di Dio in noi:
1 - da una parte Egli cerca di metterci in condizione di vivere la vita come suoi figli.
2 - dall'altra prosegue un'azione diretta nel nostro cuore, per distruggere questa tendenza all’indi-
pendenza da Lui.
Ogni giorno è indispensabile che diciamo il nostro sì all’agire di Dio in noi che determinerà:
- il radicarsi della vita di Cristo nel nostro cuore,
- la limitazione, fino all'estinzione, della vita autonoma dell'IO.
Come Giovanni il Battista ebbe a dire: “Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3,30).
► Ecco allora che Iddio ha ideato ciò che va sotto il nome di STORIA DI SALVEZZA in cui noi entriamo col battesimo.
Nel Battesimo il cristiano è stato liberato dal peccato e dalla morte; ma, sopratutto, è stato abilitato alla vita nuova; è stato, cioè, trasformato e reso capace di vivere la propria vita in modo divino, perché è stato inserito in Cristo e nel suo corpo che è la Chiesa.
“Essere in Cristo Gesù” vuol dire essere inseriti, innestati in Lui; essere a Lui incorporati; essere una cosa sola con la sua vita.
La vita di grazia è vita di comunione personale con Gesù Cristo per mezzo del suo Spirito.
Quindi, la vita di ogni cristiano è segnata da questo nuovo modo di vivere, determinato dallo Spirito di Dio: non si è più sotto il dominio del peccato, dell'istinto naturale tendente al male, ma si è guidati dalla forza liberante dello Spirito di Dio.
Questa è una verità di fede ma è evidente che non basta il sacramento ricevuto, il battesimo; occorre che questa grazia possa agire liberamente nel cuore perché sprigioni la sua potenza rigenerante. Ma questo lo sappiamo bene, visto che siamo qui oggi.
Anche se mi permetto di farvi presente che, purtroppo, se non stiamo attenti a essere sempre nell’adesione piena a Cristo e all’azione e alla guida dello Spirito Santo, possiamo avere brutte sorprese.
Mai dare per scontato che stiamo seguendo il Signore in tutto e per tutto e che non sia possibile per noi cadere preda dell’IO.
Ricordiamoci di essere sempre solleciti nella verifica del nostro agire quotidiano.
Richiamo qui una vecchia consuetudine della Chiesa: l’esame di coscienza quotidiano che, se condotto con sapienza, nello Spirito, risulta un valido aiuto per rimanere in carreggiata.
Cerchiamo di essere carismatici anche in questo e sono certo che ne avremo dei buoni risultati.
I Ma chi è lo Spirito Santo?
E visto che stiamo parlando di cose da non dare per scontate, penso sia importante anche sottolineare alcuni aspetti dell’artefice della vita divina in noi, a cui facciamo sempre riferimento: lo Spirito Santo.
Noi diamo per scontato di essere esperti in materia ma, anche qui, stiamo attenti ad essere troppo spicci.
Innanzi tutto bisogna ricordare che è persona, la Terza Persona della Trinità; è Dio, uguale al Padre e al Figlio, della stessa sostanza e della stessa natura.
Col termine “persona”, si indica la dignità della sua natura individuale, sussistente, capace di relazione, di incontro, di dialogo.
Lo Spirito Santo, dunque, non è una cosa indefinita; non è semplicemente una forza o una energia, come affermano alcuni da un po’ di tempo a questa parte (vedi Nuova Era e affini) che si riferiscono a Dio come l’amore cosmico o l’energia cosmica e così via.
Dio, lo Spirito, è persona, seppure divina, che entrando in comunione con l'uomo gli cambia la vita.
Tutto quello che si può aggiungere per descriverne meglio l'agire, deriva dalla sua realtà personale divina e dalla sua relazione al Padre e al Figlio. Egli è:
- la vita di Dio e comunica la vita.
- la forza e la potenza di Dio, la sua intelligenza, la sua volontà e benevolenza.
- l'amore trinitario del Padre verso il Figlio, ricambiato dal Figlio verso il Padre, ed è quest’amore sostanziale, che è persona, che viene donato all'uomo che, per questo, diventa “Cristiano”.
L'opera di salvezza di Cristo mira proprio a questa comunicazione nello Spirito Santo.
Cristo, con lo Spirito santo, ci ha donata una forza più forte di quella della carne.
Grazie a Lui l'uomo può realmente pensare alle cose di Dio, vivere cioè secondo una mentalità divina e compiere le opere a Lui gradite.
La grande differenza fra i due sistemi esistenziali, presenti in noi, sta nel loro esito.
Il loro risultato, infatti, è opposto, giacché provocano vita o morte, come dice san Paolo nella lettera ai Romani cap. 8: “I desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace” (Rm 8,6).
- L'esistenza dominata dall’IO ha come frutto una vita morta: le azioni che nascono dalla natura corrotta dell'uomo peccatore sono azioni di morte e creano una situazione negativa, opprimente e mortale.
- Mentre, la vita secondo lo Spirito porta l'uomo, trasformato dallo Spirito, ad azioni vitali e vivificanti, pacifiche e pacificanti, che creano una realtà nuova, una nuova qualità di vita contras-segnata dalla pace, dalla piena realizzazione della persona in un benessere reale e completo.
Canto: “Ora i miei occhi ti vedono” (425)
LA VITA NELLO SPIRITO
Paolo, sempre nel cap. 8 della lettera ai Romani, spiega che la vita secondo lo Spirito non è un fatto automatico, un evento di tipo magico, indipendente dalla volontà e collaborazione dell'uomo.
La vita nello Spirito chiede collaborazione nel far morire le opere della carne.
Infatti, la forza della carne, chiamata “concupiscenza”, resta anche nel battezzato.
L'istinto che inclina al peccato rimane ma, con la forza dello Spirito, può essere superato.
L'uomo redento è chiamato a far morire quella parte di sé che lo orienta al male; deve, cioè, partecipare, con tutto il suo essere, alla morte di Gesù Cristo; ciò che la tradizione cristiana chiama “mortificazione” che è l'impegno morale di “morire al peccato”: mortificare, infatti, vuol dire far morire; e riguarda, chiaramente, non la parte buona dell’IO ma la parte negativa.
La mortificazione cristiana è lavoro d’ascesi, cioè di salita, in cui si elimina, un po’ alla volta, la zavorra negativa delle opere della carne, dell'egoismo; in questo modo si entra nella vita divina.
Nella misura in cui muore l'egoismo cresce la vita da figli di Dio, giacché sono due realtà inversamente proporzionali.
La salvezza non avviene magicamente e istantaneamente: l'essenziale è già avvenuto, la capacità ci è stata data, ma è ancora necessaria, da parte nostra, la collaborazione e l'impegno ascetico quotidiano.
Ma questo lavoro non è solo frutto dello sforzo umano, è soprattutto azione dello Spirito Santo. Dice san Paolo:“Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio” (v14).
Ovvero: “Sono figli di Dio quelli che si lasciano guidare dallo Spirito di Dio”.
L'essere “figli di Dio” non è un fatto automatico; si tratta piuttosto di una realtà dinamica.
La figliolanza divina, in unione a Gesù Cristo, si attua solo se ci lasciamo guidare dallo Spirito.
Questo non significa che diveniamo delle marionette. Siamo sempre noi che agiamo ma non attingendo più a noi stessi ma allo Spirito, ai suoi principi e alla sua forza.
Lo Spirito non è un nuovo tipo di legge che ci comanda dall'esterno; è una forza interiore che ci è donata; una potenzialità che ci è stata regalata e che possiamo usare.
È importantissimo avere le idee chiare su questo punto:
La morale cristiana - che abbiamo capito non è altro che la vita vissuta nello Spirito - non è basata sull'imperativo del dovere ma sul dono e la potenzialità, sul fatto che ora posso essere e fare.
San Paolo dice a ognuno di noi:
“Scopri le infinite potenzialità che hai; questa potenzialità è lo Spirito Santo, che ti è stato donato. Fanne uso! Se non ne usi ti metti di nuovo sotto il dominio della carne e perdi quest’occasione eccezionale, perdi la possibilità di essere figlio di Dio, che è il meglio che tu possa fare nella tua vita, il senso della tua esistenza. Sei nato per questo, sei stato creato per questo, per essere figlio di Dio, per agire come agisce Dio. Sei nato per godere Dio, per incontrarlo, per essere suo figlio, per essere simile a Lui. Ma puoi realizzare tutto questo solo grazie allo Spirito che ti è stato dato!”.
Lo Spirito non ci rende schiavi di Dio, dominati dalla paura e sottomessi per timore; questa era la situazione antica creata dal peccato e non risolta dalla legge. Dice Paolo:
“Non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre!” (v15).
Lo Spirito di Gesù, il Figlio di Dio, ci rende partecipi della sua qualità di figlio: in Lui ogni uomo diventa figlio di Dio.
Proprio grazie allo Spirito che abita in noi, possiamo rivolgerci a Dio come faceva Gesù Cristo, chiamandolo “Papà”.
“Abbà” è il termine usato da Gesù nella sua preghiera (originale e strano per un giudeo).
I discepoli di Gesù compresero che il suo modo di pregare Dio, come un papà, rivelava la sua stretta e profonda relazione con Lui. Solo Gesù può trattare così Dio, perché solo Lui è suo figlio.
Eppure, grazie al dono dello Spirito, che ora vive in noi, tale condizione di figli è divenuta anche la nostra e anche noi possiamo sentire Dio come il “nostro papà”.
Come dice Paolo: “Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio” (v16).
La forza di Dio ci dà tale forza; la sua coscienza ce ne dà coscienza.
Proprio perché lo Spirito di Dio abita in noi, sappiamo e sentiamo di “essere figli” e possiamo vivere questa dimensione di figliolanza.
“E se siamo figli, - prosegue Paolo - siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (v17).
Il cambiamento è sostanziale: da schiavi a figli; con tutto quel che ne consegue: l'eredità del padre. Adottati da Dio come figli, abbiamo ottenuto anche questo diritto: abbiamo ereditato il meglio che si potesse avere, insieme a Cristo; siamo suoi coeredi.
È bello pensare e rileggere i vangeli sotto quest’ottica.
Provate almeno una volta nella vostra meditazione a rileggere qualche episodio evangelico, pensando che Gesù ha sempre agito, con chiunque incontrava, con questa consapevolezza di essere Figlio di Dio e che noi siamo suoi fratelli, amati dal Padre esattamente come Lui.
E poiché Egli è una cosa sola con il Padre, ci ama come ci ama il Padre.
È venuto sulla terra per ricondurre ogni figlio prodigo a casa, dal Padre. Per far riscoprire all’uma-nità il volto perduto del Padre, ormai dimenticato, spesso confuso tra altre realtà, a volte addirittura identificato con l’origine del male…
L’AMORE CONDIVISO
La fine del capitolo 8 della lettera ai Romani, che è il grande vertice di tutta la riflessione Paolina, si concentra proprio sull'amore di Dio che ha iniziato un progetto e lo sta portando a compimento.
“Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (v28).
Tutto concorre al bene! Anche quello che, umanamente, riteniamo male; anche quello che riteniamo disgrazia; anche quello che riteniamo sofferenza, disavventura, problema.
Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio. Elemento essenziale, condizione base, è “Amare Dio”.
“Per coloro che amano Dio”, e possono amare Dio solo quelli trasformati dallo Spirito di Dio, tutto nella vita concorre al bene; avviene per un bene superiore.
Questa grande verità può essere compresa solo se è lo Spirito che guida la vita.
Infatti, coloro che amano Dio sono stati chiamati secondo il suo disegno, rientrano cioè nel grande progetto che Dio sta realizzando per la salvezza dell'universo intero. Dice ancora Paolo:
“Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati” (vv29-30).
Ovvero:
a) Dio ha conosciuto i suoi: Egli da sempre si è posto in una relazione di benevolenza verso gli uomini.
b) Li ha predestinati: Fin dalla creazione del mondo Egli vuole il bene dell'uomo.
Lo ha creato con una intenzione ben precisa: renderlo simile a sé; e fin dall'inizio lo ha destinato ad essere simile al suo unico figlio, Gesù Cristo, perché ogni uomo sia, come Lui, figlio suo.
c) Li ha chiamati: Questo progetto lo ha realizzato “chiamandoci”.
La rivelazione biblica dell'Antico Testamento corrisponde a tale vocazione che Dio ha rivolto all'uomo, e trova nella legge la sua espressione più chiara.
d) Li ha giustificati: non si è limitato a chiamarci dicendoci quello che bisognava fare: ci ha reso capaci di rispondere (nel linguaggio paolino ci ha giustificati), mettendoci in grado di accogliere e di vivere la relazione di amicizia con Lui. Ha sciolto ogni impedimento alla comunione.
e) Li ha glorificati: il progetto non è ancora realizzato del tutto e Paolo aggiunge un ultimo verbo per mostrare l'opera che Dio sta portando a compimento. Con la sicurezza dell'uomo di fede presenta il futuro come già avvenuto.
Quelli che Dio ha reso suoi amici li ha anche glorificati, cioè li ha messi a parte della sua gloria gli ha dato la garanzia della piena partecipazione alla vita divina. Il futuro è sicuro, date le premesse presenti.
Già oggi io posso vedere la sua gloria nella mia vita.
E nel vangelo possiamo leggere qual è il segreto per giungere a vedere la gloria di Dio. Ricordate? Quando i discepoli sul monte erano presi dal sonno ma rimasero svegli e videro la sua gloria.
Dobbiamo svegliarci; allora vedremo la gloria di Dio!
Canto: “è il Signore la mia salvezza” (421)
CONVEGNO DI VERONA: RISORTI CON CRISTO
Detto questo, secondo le vostre indicazioni, posso ora, a mo’ di conclusione, allacciarmi al messaggio dato, poco più di un anno fa, alla Chiesa Italiana, dal convegno di Verona.
Spero noterete il parallelo con quanto ci siamo detti.
Attingo, innanzitutto dalle parole del Papa che, ancora una volta anche a Verona, ha dato prova della sua capacità intellettuale e spirituale, come guida illuminata del popolo di Dio, donandoci una meravigliosa sintesi del messaggio del convegno. Egli ha ribadito che (riprendo le sue parole):
La risurrezione, fatto avvenuto nella storia, è la più grande "mutazione" mai accaduta, il "salto" decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazareth, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo.
È un grande mistero, la cui cifra è l’amore e soltanto nella logica dell’amore può essere compreso.
La sua risurrezione è stata come un’esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della morte.
Essa ha inaugurato una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé.
Ciò avviene concretamente attraverso la vita e la testimonianza della Chiesa; anzi, la Chiesa stessa costituisce la primizia di questa trasformazione, che è opera di Dio e non nostra.
Essa giunge a noi mediante la fede e il sacramento del Battesimo, che è realmente morte e risurrezione, rinascita e trasformazione.
È stata cambiata così la nostra identità essenziale e noi continuiamo ad esistere soltanto in questo cambiamento. Il nostro proprio io viene tolto e viene inserito in un nuovo soggetto più grande, nel quale l’io c’è di nuovo, ma trasformato, purificato, "aperto" mediante l’inserimento nell’altro, nel quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza.
Diventiamo così "uno in Cristo" (Gal 3,28), un unico soggetto nuovo, e il nostro io viene liberato dal suo isolamento. È questa l’esistenza cristiana: la risurrezione dentro il tempo, la "novità" chiamata a trasformare il mondo.
La nostra vocazione e il nostro compito consistono nel cooperare perché giunga a compimento, nella quotidianità della nostra vita, ciò che lo Spirito Santo ha iniziato col Battesimo: siamo chiamati a divenire donne e uomini nuovi, per poter essere veri testimoni del Risorto, portatori della gioia e della speranza cristiana nel mondo.
L’Italia di oggi è un terreno profondamente bisognoso e molto favorevole per tale testimonianza.
è Profondamente bisognoso, perché partecipa della cultura predominante che si pone come universale e autosufficiente. È in atto una nuova ondata di illuminismo e di laicismo, per la quale è razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile, mentre nella prassi la libertà personale diventa un valore al quale tutti devono sottostare.
Così Dio rimane escluso, perché il mondo è opera nostra, nel quale Egli non compare più diret-tamente. Dio vi è superfluo ed estraneo.
Ha luogo così una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura e come tale non realmente libero e suscettibile di essere trattato come ogni altro animale.
Un autentico capovolgimento del punto di partenza di questa cultura, che era in origine una rivendicazione della centralità dell’uomo e della sua libertà.
Il nostro atteggiamento non dovrà mai essere, pertanto, quello di un rinunciatario ripiegamento su noi stessi: occorre mantenere vivo e incrementare il nostro dinamismo; occorre aprirsi con fiducia a nuovi rapporti, non trascurando alcuna delle energie che possono contribuire alla crescita culturale e morale dell’Italia.
Tocca a noi infatti – non con le nostre povere risorse, ma con la forza che viene dallo Spirito Santo – dare risposte positive e convincenti alle attese e agli interrogativi della gente.
Come, e su quali basi, adempiere un simile compito?
L’opera di evangelizzazione non è mai un semplice adattarsi alle culture, ma è sempre anche una purificazione, un taglio coraggioso che diviene maturazione e risanamento, un’apertura che consente di nascere a quella "creatura nuova" che è frutto dello Spirito.
Come è scritto nell’Enciclica Deus caritas est, all’inizio dell’essere cristiano c’è l’incontro con la Persona di Cristo, "che dà alla vita un nuovo orizzonte e la direzione decisiva".
Da qui il tema di Verona “testimoni di Gesù risorto speranza del mondo” (testimoni che stanno vivendo la risurrezione) e gli ambiti toccati dal convegno: la famiglia, l’educazione, la testimonianze di carità, le responsabilità civili e politiche dei cattolici.
Su tutto l’importanza di essere uniti a Cristo e quindi tra noi, lo stare con Lui per poter andare nel suo nome (cfr Mc 3,13-15). La nostra vera forza è nutrirci della sua parola e del suo corpo, unirci alla sua offerta per noi, adorarlo presente nell’Eucaristia.
Occorre che questa fede diventi vita in ciascuno di noi. C’è allora un vasto e capillare sforzo da compiere perché ogni cristiano si trasformi in “testimone” capace e pronto ad assumere l’impegno di rendere conto a tutti e sempre della speranza che lo anima (cfr. 1Pt 3,15).
Così occorre tornare ad annunciare con vigore e gioia l’evento della morte e risurrezione di Cristo, cuore del cristianesimo. “Testimoni del Risorto” è la definizione dei cristiani.
Quel “di” vuol dire che il testimone è “di” Gesù risorto, cioè appartiene a Lui, e per questo può rendergli testimonianza, può parlare di Lui, condurre a Lui, trasmettere la sua presenza.
È esattamente il contrario di quello che avviene per l’altra espressione: “speranza del mondo”.
“Del” non indica appartenenza, perché Cristo non è del mondo, come pure i cristiani non sono del mondo. La speranza, che è Cristo, è nel e per il mondo ma proprio perché Cristo è Dio, “il Santo”.
Solo se, come Cristo, non siamo del mondo, possiamo essere speranza per il mondo.
La Buona Notizia resta sempre la stessa: Cristo è morto ed è risorto per la nostra salvezza!
Nel suo nome diamo a tutti l’annuncio della conversione e del perdono dei peccati, ma diamolo essendo noi per primi testimonianza di una vita convertita e perdonata.
Sappiamo bene che questo non è possibile senza essere “rivestiti di potenza dall’alto” (Lc 24,49), cioè senza la forza interiore dello Spirito del Risorto.
Per riceverla occorre non allontanarsi da Gerusalemme, rimanere nella “città” dove si è consumato il mistero della salvezza, il supremo Atto d’amore di Dio per l’umanità.
Occorre rimanere in preghiera, rimanere in Dio.
Allora saremo in grado di ricostruire le antiche rovine, rialzare gli antichi ruderi, restaurare le città desolate (cfr. Is 61,4).
Egli risiederà con potenza nella sua casa ricostruita, dove guarigione e liberazione saranno comuni per i suoi figli. Dove si ricostruisce la casa del Signore, lì si sente viva la sua protezione. Santità e grazia riempiono persino l’atmosfera dei luoghi dove vivono i veri figli di Dio.
Ci aiuti Lui, il Signore, a entrare in questa speranza e a farlo con convinzione, da protagonisti, non da spettatori.
Questo è il compito a cui ci ha chiamati il nostro Dio; a noi, fratelli e sorelle, di rispondere con il nostro sì per essere testimoni del Cristo risorto, speranza delle genti.
Amen.
Canto: “Quale gioia è star con te”(403)