I Quaderni della Comunità n° 7/2010
Comunità S. Volto di Gesù
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(pro - manoscritto ad uso interno della comunità)
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Roba da preti (n.3)
Dalla Religione alla Fede
(L’Esodo di Gesù)
(di Alberto Maggi)
relatore: Padre Maurizio Napoli
Muzzano - Agosto 2010
IL CULTO DEI DEMONI (Gesù e la religione)
Cosa s'intende per religione?
L'insieme di atteggiamenti, desideri, aspirazioni dell'uomo, rivolti alla divinità per ottenerne la benevolenza.
E chi s'impegna a osservare gli insegnamenti della religione per raggiungere la comunione col divino, meta ultima delle sue aspirazioni, è l'uomo religioso.
- Per trovare la voce religione in un dizionario del N.T., occorre andare alla voce demone.
Infatti, il termine greco che viene tradotto con religione, è composto dal verbo temere e da demone e significa: timore degli dei/demoni; paura delle potenze celesti, degli spiriti maligni; superstizione, religione.
- Nei vangeli non si parla di religione e tutto quello che la riguarda è visto come negativo.
II termine religione compare una sola volta in tutto il N.T. e riguarda la religione ebraica ("Essi avevano contro di lui certe questioni intorno alla propria religione", At 25,19).
Nel messaggio di Gesù, si cercano invano, anche i termini riguardanti l'ambito della religione:
· virtù: presente solo in Fil 4,8, dove non viene riferita ai cristiani, ma ai pagani;
· sacro;
· sacrificio: presente in Mt 9,13.12,7; Mc 12,33; Lc 2,24.13,1, sempre riferito ad ebrei;
· sacerdote;
· culto: presente solo in Gv 16,2, in senso negativo;
· venerazione;
· devozione/pietà;
· pio: presente in At 10,2.7, riferito al pagano Cornelio e al soldato;
· liturgia: è quella del Tempio (Lc 1,23);
· altare: è quello del Tempio (Mt 5,23.23,18). I cristiani lo chiamano tavolo (1Cor 10,21);
· ubbidienza: che nei vangeli si trova cinque volte, mai riferito alle persone, ma sempre a elementi nocivi e contrari all'uomo: vento e mare (Mt 8,27; Mc 4,41; Lc 8,25), spiriti immondi (Mc 1,27), o cose come il gelso (Lc 17,6).
- Come mai nei vangeli tutto quello che riguarda la religione o rende l'uomo religioso è assente o presentato negativamente?
Il motivo è semplice e sconvolgente: nulla nei vangeli viene descritto come più inutile e pericoloso della religione e delle persone religiose; nemici accaniti di Dio e avversari del suo progetto sull'umanità. Tra religione e Dio c'è assoluta incompatibilità.
Gesù viene assassinato da persone religiose e in nome della religione (Gv 19,7).
Un Sommo sacerdote lo condannerà a morte (Mt 26,65-67).
Dio e religione non si tollerano: insieme non possono stare.
Tentare di farli convivere è cercare di mettere assieme "vino nuovo in otri vecchi", con il risultato che "il vino si spande e gli otri si perdono" (Mt 9,17). Dio ha da sempre ("In principio", Gv 1,1; Gen 1,1) un meraviglioso progetto sull'umanità: annullare ogni distanza che lo separa dall'uomo per renderlo uguale a sé. Questo progetto è, per la religione, un'idea pericolosissima: una minaccia ai propri privilegi ("Se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui” Gv 11,48), un crimine che solo la morte può cancellare: “I Giudei cercavano di ucciderlo... perché chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio" (Gv 5,18).
La religione vive sulla distanza che c'è tra Dio e l'uomo; e questa distanza giustifica il bisogno di rappresentanti; di momenti e luoghi speciali che permettano all'uomo di incontrarsi con Dio.
Che l'uomo possa diventare figlio di Dio (Gv 1,12), annullando ogni distanza col Padre, è per la religione una bestemmia da punire con la morte: "Non ti lapidiamo per una buona opera, ma per la bestemmia; e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio" (Gv 10,33).
L'uomo religioso non comprenderà mai questo progetto: "Come può ... come è possibile", chiede incredulo il fariseo Nicodemo (Gv 3,4.9).
- Gesù non fu un uomo religioso.
Il suo violento attacco contro la religione non è dovuto a una polemica contro un mondo dal quale si era ormai allontanato, ma dal fatto che tra i propri discepoli si stavano ricreando i meccanismi impuri della religione: il "lievito dei farisei " (Mc 8,15).
Gesù, che non spende una parola contro la dura dominazione romana, ha invettive di fuoco contro la religione, i suoi rappresentanti e i suoi adepti.
La dominazione romana era un sopruso e non c'era bisogno che venisse Gesù a dire che l'occupazione romana era ingiusta e che bisognava liberarsi da quel giogo.
Ma c'era un'altra dominazione, una tirannia subdola, temibile e astuta. Una dittatura che dominava l'uomo, facendogli credere che per lui era un bene essere sottomesso e che senza questo giogo oppressivo, imposto in nome di Dio, non avrebbe potuto vivere.
Gesù denuncia senza risparmio il potere religioso, come il più pericoloso di tutti.
Gli altri poteri, anche i più crudeli, sono esercitati da uomini da cui ci si può sempre difendere o fuggire. Il potere religioso è dominio in nome di Dio, per cui mai:
· si comanda con la coscienza tranquilla come quando si comanda in nome di Dio;
· si chiedono tanto facilmente sacrifici come quando si chiedono in nome di Dio;
· si uccide con tanto gusto come quando si uccide in nome di Dio.
Gesù, continuando nella linea dei profeti, denuncia il crimine degli uomini della religione: avere scalzato il Dio creatore e liberatore per sostituirlo con un Dio legislatore.
Al Dio che crea e che continuamente comunica vita all'uomo, dando libertà, hanno sostituito il Dio legislatore, terribile nell'ira, che chiede la morte per chi osa trasgredire le sue leggi (Esd 7,26) e vendica le colpe dei padri nei figli fino alla quarta generazione (Dt 5,9).
Al Dio liberatore hanno sostituito un dio più duro del Faraone (Es 32,25-29) il cui servo Mosè ammazza più ebrei per liberarli dall'Egitto, che il faraone per trattenerli schiavi (Nm 11,33-34). Alla schiavitù dell'Egitto, si sostituisce la schiavitù della Legge. Gesù, figlio di quel Dio che da sempre libera l'uomo dalle catene (Es 3,8), fa evadere l'uomo dalla prigione della religione: "Sapranno che io sono il Signore, quando avrò spezzato le spranghe del loro giogo e li avrò liberati dalle mani di coloro che li tiranneggiano" (Ez 34,27). Vero pastore d'Israele, Gesù difende con la vita il suo gregge dall'assalto delle bestie feroci e lo mette in guardia dai "lupi travestiti da agnelli" (Mt 7,15), le autorità religiose, che vengono "solo per rubare, ammazzare, distruggere!" (Gv 10,10).
Fanno credere alla gente che il Sommo sacerdote rappresenta Dio sulla terra ed è l'interprete del suo volere, e che disubbidire a lui significa disubbidire a Dio stesso.
Il popolo crede che gli scribi abbiano l'autorizzazione da Dio per insegnare in nome suo.
Gesù dice di non ascoltarli e di non imitarli perché:
· insegnano dottrine che non sono altro che precetti di uomini inventati per interesse;
· hanno abbandonato la parola di Dio e l'hanno sostituita con le proprie idee (Mt 15,1-9);
· pretendono di guidare ma sono ciechi; chi li segue, non solo non compie la volontà di Dio, ma finisce nella rovina con loro (Mt 15,14; Mc 7,8-13);
· sono ambiziosi, arrivisti, ipocriti, pazzi ed assassini, gente pericolosa di cui è meglio non fidarsi (Mt 23).
- E i farisei che sembrano delle sante persone?
· Sono pieni di marciume (Mt 23,27), dei sepolcri che contengono solo morte; occorre stare ben alla larga da loro: appestano l'aria e infettano quanti li avvicinano (Lc 11,44);
· è meno rischiosa la compagnia delle prostitute e delle canaglie, che sono più gradite a Dio dei farisei e di tutta la loro ostentata santità (Mt 21,31); meglio stare alla larga dai santoni (Lc 12,1).
- Il tempio di Gerusalemme:
· è un "covo di ladri" (Mt 21,13) dove Gesù non metterà mai piede per partecipare al culto. Lì tenteranno di arrestarlo (Gv 7,30) e di assassinarlo (Gv 7,19). Lo denuncerà come costruzione idolatrica (Mc 14,58) il cui vero dio è il denaro (Gv 8,20), e frequentarlo equivale a peccare (Gv 5,14).
· Per pregare sceglie luoghi solitari (Mt 14,23; Mc 1,35). Nella sinagoga entra esclusivamente per insegnare (Mc 1,21;3,1;6,1), e insegna il contrario di quello che si fa lì per liberare le persone sottomesse alla religione, vere vittime del culto (Gv 10,10).
No, Gesù non è stato un uomo religioso, e non ha mai invitato qualcuno ad esserlo:
· tutto quello che la religione proibiva di fare, Egli l'ha fatto;
· tutto quello che comandava di fare non l'ha fatto;
per dimostrare la falsità di un sistema che si diceva da Dio.
Gesù, con le parole e soprattutto coi fatti, non solo opererà il sovvertimento di tutti i valori della religione, ma ne distruggerà le radici, negandone la validità:
· "Crescete e moltiplicatevi" comanda il Libro della Genesi (Gen 1,28). Sposarsi per l'ebreo non è frutto di una libera scelta, ma l'esatto compimento di un dovere religioso. L'uomo è obbligato a sposarsi all'età di diciotto anni e chi non si sposa, dice il Talmud, è maledetto da Dio. Gesù non si sposa.
· Il Libro del Levitico proibisce di toccare un lebbroso (Lv 13,45-46)? Gesù lo tocca e lo purifica (Mc 1,40-44).
· Si crede che solo Dio, e solo a determinate condizioni, quali preghiere, digiuni e offerte, può perdonare i peccati? Gesù perdona i peccati, senza neanche nominare Dio, senza porre condizioni (Mc 2,1-12).
· Il più importante comandamento è il riposo del sabato. Dio stesso e gli angeli lo osservano in cielo. Trasgredire questo comandamento equivale a trasgredire tutta la Legge e chi osa farlo viene punito con la pena di morte (Es 31,14-15)? Gesù trasgredisce pubblicamente questo comandamento.
- Tra le proibizioni del sabato c'è quella di non uscire di casa se non per andare in sinagoga al culto? Gesù, proprio di sabato, va a fare le passeggiate con i suoi discepoli (Mc 2,23-28).
- Di sabato è proibito visitare e curare gli ammalati? Gesù compie le sue più importanti guarigioni proprio al sabato: dalla suocera di Pietro (Mc 1,29-31), all'uomo dal braccio paralizzato (Mc 3,1-6), dall'infermo della piscina (Gv 5,1-18) al cieco nato (Gv 9,1-41), dalla donna gobba (Lc 13,10-17) all'idropico (Lc 14,1-6).
· Le persone pie digiunano il lunedì e il giovedì in ricordo della salita e della discesa di Mosè dal monte Sinai? Gesù partecipa ai pranzi organizzati proprio in quei giorni dalla feccia della società (Mc 2,14; Lc 15,2).
· E quando è invitato a pranzo dai farisei, è l'occasione per sferrare il suo attacco alle inutili regole religiose da essi scrupolosamente osservate per prendere cibo (Lc 11,37-54).
· Mosè, in nome di Dio, proibisce di mangiare tutta una serie di animali perché impuri? (Lv 11). Gesù dice che non è vero niente, che si può mangiare di tutto, perché ciò che rende impuro non è qualcosa di esterno all'uomo, ma ciò che cova dentro e trasforma in azione (Mc 7,15-23).
- A questo punto è necessario riflettere sul perché di questo comportamento. Era necessario?
Se quel paralitico da trentotto anni fosse stato guarito il giorno dopo, non sarebbe stato felice lo stesso (Gv 5,18)? E la donna gobba da diciott'anni (Lc 13,10-16)?
A ben ragione il capo della sinagoga protestava: "Ci sono sei giorni nei quali si deve lavorare; venite in quelli a farvi guarire, e non il sabato!" (Lc 13,14).
Era necessario andare a passeggiare in mezzo ai campi, sfidare i benpensanti trasgredendo le più elementari regole religiose; farsi vedere con quella gente di malaffare, prostitute e peccatori pubblici; scandalizzare gli osservanti dicendo che non è più proibito mangiare certi cibi? Perché comportarsi così? Cosa ci guadagna Gesù a farsi ritenere matto dalla famiglia (Mc 3,20) e bestemmiatore indemoniato dalle autorità religiose e dai benpensanti (Mt 9,3)?
Gesù vuol dimostrare che la religione, fatta di precetti, di osservanze, riti, sacrifici, ecc., non solo non proviene da Dio e gli è contrario, ma è d'ostacolo per la comunione con Lui.
Tutto quel che non viene dal Dio della vita non aiuta l'uomo ma lo mutila, lo diminuisce, lo deforma e gli impedisce di crescere e di diventare figlio di Dio (Gv 19,7); mentre la vita che Dio comunica, lo aiuta a svilupparsi.
Gesù dimostra che la comunione con Dio non si raggiunge con l'osservanza di leggi e riti (Rm 3,20), ma divenendo simili a Lui, al suo amore liberante e creativo.
UN DIO PREPOTENTE (il dio della religione che dà solo col contraccambio)
Tutta l'azione di Gesù consisterà nel traghettare i suoi discepoli dalla religione alla fede, dal fare all'accoglienza dell'amore. È questo l'esodo iniziato da Gesù.
Per condurre il suo popolo verso la libertà, non distrugge solo ciò che sta alla base della religione (culto, riti, sacrifici), ma cambia pure l'immagine di Dio.
Mentre Mosè, il "servo di Dio" (Ap 15,3), ha dato un'alleanza tra dei servi e il loro Signore, Gesù, il Figlio di Dio, propone un rapporto tra dei figli e il loro Padre.
Gesù sostituisce il Dio esigente della religione col Dio che dà; un Padre che per amore comunica vita a tutti incondizionatamente.
Il Dio della religione è un sovrano inaccessibile che dall'alto del suo trono concede qualche favore esigendo in cambio:
· dedizione totale: "Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze" (Dt 6,5).
· Il meglio della vita dell'uomo:
- "Ogni primogenito" (Es 34,19);
- "Ogni primo parto maschio di tutto il bestiame" (Es 34,19);
- "Ogni decima della terra, sia delle raccolte del suolo, sia dei frutti degli alberi" (Lv 27,30);
- "Ogni decima dell'armento o del gregge" (Lv 27,32; Es 29,38).
· Un rigido e complicato cerimoniale per avvicinarlo (Dt 29), punendo con la morte chi osa trasgredirlo (Es 19,12), e ordinando che "nessuno venga davanti a me a mani vuote" (Es 34,20).
· La dedicazione di intere giornate (Es 20,8-11).
· L'immediato castigo di chi lo offende, meglio se con la morte.
Il Dio della religione è una divinità:
· che mutila l'uomo; e la circoncisione ne è il segno visibile (Gen 17,10-14);
· che esige continuamente sacrifici e doni, in un culto teso a sottolineare, sempre più, l'enorme distanza tra sé e la miseria dell'uomo, "un verme" (Gb 25,6) che non può vederlo e rimanere in vita (Es 33,20);
· che continuamente chiede, consumando tutto con "un fuoco divoratore" (Dt 4,24)
· che è scontento dell'uomo da Lui stesso creato e che si dimostra “traviato e corrotto” (Sal 114,2-3).
· che con la sua venuta terrorizza “anche l'uomo più coraggioso, perché sarà un giorno di angoscia, di afflizione, di rovina, di sterminio" (Sof 1,14-15).
Un Dio che è meglio non incontrare nella vita, da cui Gesù è venuto a liberare gli uomini.
UN DIO POCO PIO (perché ama i peccatori)
II Dio che presenta Gesù è diverso:
· non chiede ma dà;
· non toglie il pane agli uomini, ma Egli si fa pane per la vita degli uomini (Mt 26,26);
· non chiede agli uomini di servirlo, ma Egli si fa servo dei suoi: "Il Figlio dell'uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire”(Mt 20,28; Gv 13,1-14).
Se la religione è ciò che l'uomo fa per Dio e, ora, questo Dio non vuole più nulla, essa, con tutte le sue strutture, è finita: "Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti dalle mani dell'uomo, né dalle mani dell'uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa: è lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa" (At 17,24-25).
Dio ripudia la religione e i suoi privilegi e si pone a fianco dell'uomo come il "Dio con noi" (Mt 1,23) e non lo lascia mai più: "lo sono con voi tutti i giorni" (Mt 28,20).
Con Gesù, Dio abbandona definitivamente il piedistallo, il trono dell'alto dei cieli (Sal 11,4), dove la religione l'aveva posto come proiezione delle ambizioni e delle frustrazioni dell'uomo.
Con Gesù, Dio "venne ad abitare in mezzo a noi, e noi vedemmo la sua gloria" (Gv 1,14).
Se prima vedere il volto di Dio era causa di morte (Es 33,20), ora vedere la sua gloria è condizione indispensabile per avere la vita. Gesù anziché sottolineare la distanza che lo separa dall'uomo, desidera innalzarlo al proprio livello, e "a quanti l'hanno accolto ha dato la capacità di diventare figli di Dio" (Gv 1,12).
Invece di essere geloso della propria divinità, Dio chiede solo di poterla comunicare all'uomo:
"Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia" (Gv 1,16; Fil 2,6-7).
Un Dio che invece di dominare l'uomo ne potenzia l'esistenza, rendendolo pienamente libero.
Un Padre che pone nell'uomo il desiderio di pienezza di vita come un seme, una potenzialità, da far fruttificare fino al centuplo, cioè fino alla pienezza definitiva (Mc 4,1-20).
Non più un Dio che esige continui sacrifici dall'uomo, ma un Padre che chiede solo che venga accolto il suo amore per distribuirlo all'umanità: "Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici" (Mt 9,13).
Un Dio al quale i riti non servono, non interessano; anzi, non sono mai interessati: "Che m'importa dei vostri numerosi sacrifici? Voi mi offrite pecore e le parti grasse dei vostri montoni. Non so cosa farne del sangue di tori, di agnelli e di capretti. Quando venite a rendermi culto, chi vi ha chiesto tutte queste cose e la confusione che fate nel mio santuario? Le vostre offerte sono inutili. L'incenso che bruciate mi dà nausea ... Mi ripugnano le vostre celebrazioni: per me sono un peso e non riesco più a sopportarle. Quando alzate le mani per la preghiera, io guardo altrove. Anche se fate preghiere che durano a lungo io non le ascolto... Smettete piuttosto di fare il male, imparate a fare il bene" (Is 1,11-17).
Possono servire all'uomo come surrogato dell'esperienza dello Spirito (Gal 3,3), ma Dio esclude che attraverso di essi si possa entrare in comunione con Lui: "Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza ... Ma egli vi dirà: Non so da dove venite" (Lc 13,26-27).
"Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7,21), e la volontà del Padre è sempre amore verso gli uomini.
"Non dimenticate di fare del bene e di condividere i vostri beni" (Eb 13,16), questo è ciò che il Signore desidera o, come scrive Giacomo nella sua Lettera, l'unico culto che Dio accetta (Gc 1,27).
Ciò che al Signore interessa è che le relazioni tra gli uomini siano fraterne.
Modello di questo amore è il Dio che "fa sorgere il sole anche sui cattivi oltre che sui buoni, e fa piovere sui cattivi come fa piovere sui buoni" (Mt 5,45) e che "è buono verso gli ingrati e i malvagi” (Lc 6,35).
L'amore del Padre verso l'uomo, buono o malvagio che sia, non ha altra origine se non nella sua stessa natura. La sua natura è solo e totalmente amore e "l'amore è paziente, è benevolo ... non si adira, non tiene conto del male ricevuto ... Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta" (1Cor 13,4-7).
L'onnipotenza del Padre consiste in un amore che non si lascia mettere limiti dal comportamento dell'uomo. Non viene né condizionato né, tanto meno, frenato dalla cattiveria e dall'ostilità dell'uomo ma, come un torrente in piena, più ostacoli incontra e più la sua forza cresce: "li amò sino all'estremo” (Gv 13,1).
E suscita vita dove questa non c'è più: "lo faccio entrare in voi lo spirito e voi rivivrete" (Ez 37,5).
Non un Dio che ama l'uomo in virtù dei meriti che vi può trovare, ma una potenza creatrice che, dirigendosi verso ciò che non ha alcun pregio, gli fa acquistare valore donandogli il suo amore.
Viene irresistibilmente attratto, ad esempio, dalla miseria del pubblicano ("O Dio, sii misericordioso con me, peccatore"), che "tornò a casa giustificato" (Lc 18,12-14).
Il pubblicano non ha meriti per poter ottenere il perdono delle sue colpe; ma con il Padre il perdono non va più meritato bensì accolto, come dono gratuito del suo grande amore: “lo, io sono colui che per amore di me stesso cancello le tue trasgressioni e non mi ricordo più dei tuoi peccati” (Is 43,25).
Concedendogli amore, Dio conferisce valore al peccatore e ciò che prima era morto ora torna in vita (“Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita”, Lc 15,32).
Dio ama e:
· la sterile partorisce sette volte (2Sam 2,5),
· il povero viene posto tra i principi (2Sam 2,5),
· il deserto diventa giardino (Is 32,15),
· il terreno arido, torrente (Is 35,6),
· il popolo che cammina nelle tenebre vede una grande luce (Is 9,1),
· coloro che sono nei sepolcri ne escono (Gv 5,28).
L’incolmabile distanza che separava Dio dall’uomo, frutto del peccato e della morte, viene sbriciolata da questa potenza d’amore e fa sì che Dio e l’uomo diventino una sola realtà (Gv 17,23).
BIGOTTI E SCONTENTI (Vittime del Dio della religione)
Chi è l'uomo religioso? È colui che:
· per un falso concetto di Dio, il Dio della religione, che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso (Mt 25,24), non utilizza il talento che gratuitamente il Signore gli ha donato;
· per pigrizia, paura, indecisione, rinuncia alla chiamata, alla pienezza della propria esistenza, arrestando, così, la sua crescita e rifiutando di progredire nell'unica via di maturazione: l'amore generoso, a cui supplisce con le pratiche religiose;
· alla proposta di Gesù di accogliere lo Spirito di libertà ("Chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete", Gv 4,13), preferisce la sicurezza che gli viene dalla Legge che di se stessa afferma: "Quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me, avranno ancora sete" (Sir 24,20-22);
· come il sacerdote della parabola (Lc 10,30-31), non ha tempo per occuparsi delle miserie dell'uomo che incontra sul suo cammino (ma lo ricorderà nelle preghiere);
· si preoccupa tanto della vita eterna da non aver tempo di dedicarsi a quella terrena; è tanto informato sulla vita nell'aldilà che non si chiede se la sua, di qua, è vita;
· è più prete dei preti, più pio di Dio; ne sa più di Gesù, come Simon Pietro che alla fine lo rinnegherà (Gv 18,25-27);
· come il giovanetto che chiede: "Maestro, che devo fare di buono per avere la vita eterna?", spera che Gesù gli indichi qualche altra regoletta da osservare o un altarino in più da incensare; non rendendosi conto che moltiplicando le sue devozioni si allontana da Dio che chiede solo amore.
· come il figlio maggiore, è sottomesso al Padre e non trasgredirebbe mai un suo ordine (Lc 15,11-32); mai si azzarda, per timore e scrupolo, a fare cose che non siano permesse: abbandonare la famiglia, la religione, la morale... ma neanche capisce l'amore del Padre e si scandalizza della festa e dell'allegria per i fratelli immorali che tornano a casa;
· come l'operaio della prima ora, si indigna vedendo il padrone che paga quanto lui chi ha lavorato un'ora sola (Mt 20,13-16);
· non essendo libero, non riesce a liberare e non vuole che altri lo facciano: "Glielo abbiamo vietato perché non seguiva noi" (Mc 9,38); perché non può essere che qualcuno possa fare del bene senza appartenere alla sua cerchia o che lo Spirito si possa effondere su chi non partecipa alle funzioni religiose o sui contestatori, e chiede all'autorità che lo impedisca: "Mosè, signor mio, impediscili!" (Nm 11,24-30);
· ha l'idea che l'amore va meritato, comprato con sacrifici, offerte, digiuni; così, il perdono (tre pater/ ave/gloria bastano?) o il posto in paradiso: "Che devo fare di buono per avere la vita eterna?" (Mt 19,16); basteranno le indulgenze lucrate? È incapace di credere all'amore gratuito del Padre e ne ha timore; quel timore che, per S. Giovanni,
"ha già il suo castigo" (1Gv 4,18) perché non è una virtù ma un limite che impedisce di crescere e raggiungere la pienezza di vita desiderata dal Padre.
Il religioso valuta la bontà o meno del rapporto con Dio in base alla quantità delle regole osservate.
Si sente tranquillo quando ritiene di aver fatto il suo dovere e ha bisogno di qualcuno che decida per lui, che gli dica esattamente cosa e come farlo, obbedendo sempre a quello che gli si ordina. Ma, per Gesù, il Padre non dirige gli uomini con leggi da osservare ma comunicando loro la sua stessa capacità d'amare. Non si tratta di conoscere esattamente cos'è permesso e cosa no per sapere, con certezza, se si rischia di commettere un peccato veniale, grave, gravissimo o mortale, ma si tratta di amare.
La vita del religioso è complicata: deve fare sempre tante cose per essere accetto a Dio e non è mai sicuro d'aver fatto abbastanza: forse con un'Ave Maria in più, un ritiro in più, un'altra settimana di esercizi spirituali, un altro pellegrinaggio... Ma, per Gesù, solo dove c'è una vita che per amore si dona, si fa esperienza della presenza vivificante di Dio; e questo nessun rito può darlo. I riti, per quanto possano essere solenni ed emozionanti, non riescono a comunicare vita. Come il fico del vangelo, così bello da vedersi da lontano (Mc 11,13), i riti possono dare l'illusione di poter raggiungere la pienezza della vita ma, di fatto, paralizzano il processo di crescita dell'uomo; diventano tutti alibi, surrogati, ostacoli al cammino.
"Hanno abbandonato me - rimprovera il Signore - sorgente d'acqua viva, per scavarsi cisterne screpolate, che non tengono l'acqua" (Ger 2,13).
Ricercare nella pratica religiosa, anziché nella vita, una risposta al proprio insopprimibile desiderio di pienezza, porta alla loro moltiplicazione, nel tentativo di dissetarsi bevendo "un'acqua che fa di nuovo venire sete" (Sir 20,22), e di nutrirsi con quel che non sazia: "mangeranno, ma non si sazieranno" (Os 4,10).
"Seguendo quel che è nulla", scrive Geremia, "diventano essi stessi nullità" (Ger 2,5) perché, gli fa eco il profeta Osea, "diventano orrori come quelli che tanto amano" (Os 9,10). Riti e celebrazioni sono giustificabili solo quando esprimono e coronano un impegno di vita, una realtà vissuta, non quando si sostituiscono a questo.
La loro ripetizione, se non è espressione del sentire profondo, non può incidere nell'intimo.
E ogni rito, ogni messa, ogni devozione, ogni preghiera che non incide nel rapporto con gli altri, che non aumenta la qualità e l'intensità dell'amore, è pura illusione: diventa gesto inutile e nocivo perché come dice s. Paolo: "con la loro parvenza di pietà... con la loro affettata religiosità ed umiltà ed austerità... in realtà non servono a niente se non a nutrire l'amor proprio" (Col 2,23).
Quando il rito viene visto come fine o traguardo e non come mezzo utile a sviluppare le proprie capacità umane, è satanico perché, di fatto, ostacola il progetto di Dio sull'uomo e impedisce di raggiungere la pienezza.
L'unica cosa che nutre e fa crescere l'uomo è l'amore generoso capace di comunicarsi agli altri: "da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35). Prima, quindi, viene l'esperienza di vita e poi la sua celebrazione comunitaria, non viceversa.
Prima viene il perdono e poi l'offerta all'altare (Mt 5,23-24).
Ma il religioso anziché cercare chi ha offeso e chiedergli perdono o chi lo ha offeso per perdonarlo, dimostrando un amore capace di superare rancori e risentimenti, imbocca la via comoda del confessionale dove, a modico prezzo (tre pater/ave/gloria), riceve il tesserino di buona condotta per accostarsi all'altare, eludendo il perdono da dare al fratello o da ricevere.
"Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo" è il rimprovero di Gesù (Ap 3,17).
Nell'eucarestia si commuove, magari, profondamente, al ricordo di quanto il povero Gesù ha patito per l'umanità peccatrice, ma non gli passa minimamente per la testa l'idea di fare altrettanto.
"Fate questo in memoria di me" (Lc 22,19) è solo l'appuntamento per un'altra messa, magari lo stesso giorno o il giorno successivo, e non l'invito a vivere nella vita gli stessi sentimenti che furono di Gesù, che si donò ai discepoli che non avevano capito nulla e che l'avrebbero tradito (Mt 26,20-29; Lc 22,19-38; Gv 13,1).
Infine, il religioso cerca sempre di fare ciò che Gesù ha dichiarato impossibile: mettere il vino nuovo dell'amore e della libertà nei vecchi otri. Ma questo è inutile e nocivo perché, dice Gesù, si perdono gli otri e il vino. Tentare di unire passato e presente porta a perdere tutto (Mc 2,22).
PER CARITÀ CRISTIANA (Amare i fratelli per se stessi)
- Il tempo di ciò che l'uomo deve fare per Dio è finito.
Con Gesù è iniziato il tempo di ciò che Dio fa per l'uomo e con l'uomo per tutta l'umanità.
- L'epoca dei sacerdoti, mediatori tra l'uomo e il divino è terminata: la relazione dell'uomo con Dio, attraverso Gesù, è piena, immediata ed efficace: "Tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo concederà, affinché la vostra gioia sia completa” (Gv 15,16;16,23-24).
- Il Tempio, luogo privilegiato dove incontrare la divinità, ha esaurito la sua funzione. Chiunque ama entra direttamente in Dio: "Chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui" (1Gv 4,16).
- La comunione con Dio non dipende dal culto ma dall'amore al prossimo. Il cristiano lo si vede da come si comporta con gli altri quando esce dalla chiesa non da quante volte vi entra.
Questa è la novità portata da Gesù: "perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi" (Mt 25,35-36).
- Al posto di una religione per pochi eletti (i giusti), “un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare” (At 15,10), dice Pietro, Gesù fa una proposta di vita accessibile a tutti: "Venite a me voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò" (Mt 11,28).
- Non più suppliche e preghiere rivolte a un Dio distratto e lontano ("Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi”, Sal 13,2); un Dio inaccessibile, cieco di fronte alle sofferenze e ai bisogni dei mortali (“Perché mi respingi?”, Sal 43,2); un Dio al quale bisogna gridare per svegliarlo dalla sua indifferenza ("A te grido, Signore, non restare in silenzio!”, Sal 28,1).
Il rapporto con Dio è un familiare e fiducioso dialogo con Colui che conosce l'uomo più di quanto l'uomo conosca se stesso (Mt 10,30); un Padre che conosce i bisogni e le necessità dei suoi figli prima che questi glieli richiedano (Mt 6,8). E quando si instaura questa nuova relazione col Padre, cambia anche il comportamento verso il prossimo: non più un amore interessato, per ottenere la ricompensa di Dio ma, come il samaritano, un amore che soccorre gratuitamente, senza calcolare i meriti che possono derivarne (Lc 10,33-36).
Con Dio e come Dio, il credente trasmetterà al fratello quell'energia vitale che il Padre per primo gli ha donato: "Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi... Noi amiamo perché Egli ci ha amati per primo” (1Gv 4,10.19).
Il cristiano è colui che fa esperienza dell'amore del Padre come dono gratuito: si sente amato senza condizioni; sente che il Padre lo ama non perché lo meriti, ma perché Dio è amore (1Gv 4,7), amore che si manifesta come misericordia, perdono, generosità, rispondendo alle esigenze concrete dell'uomo (1Cor 13,4-7). Trasportato da quest'amore, il credente si prende cura degli infermi, dei poveri, perché in ognuno "vede" un fratello, il suo prossimo.
Non usa Gesù come zuccherino per addolcire la pillola amara: "fallo per Gesù", "vedi Gesù nel fratello", "lo faccio per amore di Dio", perché così facendo non si ama il fratello, ma Dio o Gesù che si crede di vedere o trovare nel prossimo. Questo rischia di essere ipocrisia e il fratello rimane non amato o, peggio ancora, sente la bruciante umiliazione d'esser stato amato "per carità cristiana", come strumento per la propria santificazione, non per vero amore e attenzione verso di lui. Gesù chiede di amare "come io ho amato voi" (Gv 13,34), e non di amare come se fosse Lui il termine di questo amore. Il fratello va amato come lo ama Gesù non come fosse Lui. Con la forza, la spinta d'amore che il Padre continuamente comunica a chi ama qualsiasi fratello, anche il più difficile da amare.
L'amore al Signore si dimostra comunicando vita ai fratelli ("Simone di Giovanni, mi ami?... Pastura le mie pecore”, Gv 21,16); amandoli (1Gv 4,20-21).
Colui che comprende questo accoglie Gesù e il suo messaggio non come guida e norma a lui esterna ma identificandosi con Lui.
- Questo processo di assimilazione produce una trasformazione dell'individuo perché, a ogni crescita nell'amore, il Padre effonde lo Spirito, in una misura che supera ogni aspettativa; è un dono senza limiti (Gv 3,34) che Dio elargisce a quanti fanno proprio il messaggio di Gesù (Mc 4,24-25).
Chi accoglie questa proposta di vita non sarà più un "religioso", (termine valido per tutte le religioni) ma, come Paolo lo chiama, sarà "l'uomo nuovo”, "l'uomo spirituale” (Ef 4,24; 1Cor 2,15) che rinnova continuamente la sua mentalità ed è sempre aperto alle novità dello Spirito:
"Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2; Ef 4,23-24).
L'uomo spirituale non può fermarsi, sedersi, perché rischierebbe di non essere più in sintonia col Dio che "fa nuove tutte le cose" (Ap 21,5); con lo Spirito che continuamente "crea e rinnova la faccia della terra" (Sal 104,30). E non può fermarsi neanche al passato: "Non ricordate più le cose passate, non considerate più le cose antiche: Ecco io sto per fare una cosa nuova: essa sta per germogliare" (Is 43,18-19).
È sospinto verso il nuovo, abbandonando l'otre vecchio (Mc 2,22), la tradizione dei padri (Lc 14,26); lasciando "che i morti seppelliscano i loro morti" (Mt 8,22).
- L'uomo nuovo è invitato da Gesù a spogliarsi anche dei falsi valori legati alla tradizione: "Dio/Patria/Famiglia", sapendo che i difensori di questi valori consegneranno ai sinedri i suoi seguaci, li percuoteranno nelle sinagoghe, li condurranno di fronte a governatori e re; e i loro stessi familiari li uccideranno (Mc 13,9-13). Gesù prevede che: "viene l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio" (Gv 16,2).
Al concetto di patria, Gesù oppone il regno di Dio che è venuto ad inaugurare (At 1,6), dove non esistono frontiere, perché l'amore del Padre non prevede i confini che solo gli interessi e gli egoismi personali hanno innalzato tra i popoli. Gesù amplia l'angusto orizzonte della famiglia e lo estende a ogni uomo, senza distinzione di popoli e razze, legandola all'accoglienza dello Spirito e non al sangue: "Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre” (Mc 3,35).
Non sono i legami di sangue che uniscono ma gli ideali comuni, per accogliere i quali si può rompere con la propria famiglia e arrivare a lasciare "moglie o fratelli o genitori o figli" (Lc 18,29).
- Nella realizzazione del progetto di Dio personale (l'uomo nuovo) e comunitario (il regno di Dio), il singolo e la comunità, come "pecore in mezzo a lupi" (Mt 10,16) corrono molti pericoli. Il maggiore è quello di imitare nella vita della comunità la società civile, dove ci sono capi che comandano e servi che obbediscono.
Gesù mette in guardia contro questa tentazione ricorrente ("Fra di loro nacque anche una contesa: chi di essi fosse considerato il più grande”, Lc 22,24), ed esclude assolutamente, nella sua comunità, meccanismi di potere:
"Voi sapete che quelli che sono considerati i capi delle nazioni spadroneggiano su di esse e i loro grandi le sottomettono al loro potere. Ma non così tra di voi; anzi chiunque vorrà essere grande fra voi, sarà vostro servo" (Mc 10,42-43).
Nella comunità c'è "un solo pastore" (Gv 10,16), un solo Maestro, un'unica guida spirituale, un'unica persona da seguire e da imitare: Gesù (Mt 23,8-10).
L'unico da seguire e da imitare è solo Gesù:"Tu, segui me" risponde Gesù a Pietro (Gv 21,20-22).
- Occorre grande sorveglianza per non riproporre, in seno alla comunità, il meccanismo della religione: "Vigilate e pregate per non cadere nella tentazione" (Mt 26,31).
La vigilanza è compito di tutta la comunità cristiana: “Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vigilate", (Mc 13,37). È lo Spirito, che la "guiderà alla verità tutta intera" (Gv 16,13), l'aiuterà a individuare ed eliminare, dal suo seno, il "lievito dei farisei" (Mc 8,15), che lo stesso vangelo aiuta a riconoscere: