GRATITUDINE

(Tarcisio Mezzetti – Lozio – luglio 1987)

Iniziamo con una riflessione da fare in preghiera.

Chiudiamo gli occhi ed ascoltiamo queste parole dal Profeta Isaia: "15Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. 16Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani"(Is 49, 15-16).

Padre santo e buono noi ti chiediamo di avere oggi il senso di essere disegnati sul palmo delle tue mani e di essere amati da Te. Ti chiediamo Signore di avere anche la grazia di sentire che Tu sei mio rifugio e mia liberazione, mio scudo in cui confido, perché così ci hai detto mentre pregavamo. Ti chiediamo questo per Gesù Cristo nostro Signore. Qualche volta noi siamo impegnati a provare e riprovare a risolvere un problema che non si risolve, se non più tardi, nel tempo di Dio. Qualche altra volta invece basta soltanto lasciarsi amare, e così tanti problemi si risolvono da soli.

Quando noi ci abbandoniamo totalmente e come una spugna assorbiamo l’amore dal Signore e da coloro che ci amano e che hanno cura di noi, noi riceviamo una nuova potenza per andare avanti, una nuova forza. Quando, al contrario, arriviamo fino a bruciarci o prendiamo l’esaurimento, non è perché facciamo troppe cose, come generalmente si dice, ma perché noi non permettiamo a noi stessi di essere amati.

Gli psichiatri e i psicologi sanno molto bene che la prima visita è molto importante per raccogliere la storia del paziente e per costruire un rapporto con lui; e conoscono l’importanza che nella guarigione ha l’amore. Diceva uno di essi naturalmente cristiano e del Rinnovamento, a cui era stato chiesto: "cosa fai di veramente importante quando i tuoi pazienti vengono da te per la prima visita?". "In genere la prima cosa che faccio quando i pazienti vengono per un’ora e si aspettano di rimanere a parlare soltanto per cinquanta minuti, è che io dò loro un’ora e mezza del mio tempo". In genere si siedono e cominciano a parlare di tutto quello che non va bene nella loro vita. Parlano naturalmente del marito, dei figli, del lavoro, eccetera, ed io li lascio parlare per cinque minuti. Poi li fermo e dico loro "adesso e per il resto del tempo, invece, voglio ascoltare quello che va bene nella tua vita, quando sei stato più vivo, quando hai dato e ricevuto amore". E così ogni volta che si allontanano dal soggetto, io ce li riporto. Se non sanno che dire, io chiedo loro come si trovano nel mio studio, se lo sentono confortevole, del loro desiderio di essere onesti, di essere guariti; tutte cose, badate bene, che sono dei doni nella vita.

Se la loro attenzione si mette a fuoco non solo sul problema, ma sui doni che hanno ricevuto, su come il Signore li ama in mezzo ai loro problemi, essi cominciano a crescere e cominciano a guarire. Ricordando i momenti in cui si è ricevuto amore noi siamo portati a ricevere una nuova forza per crescere, e ciò avviene non solo nei pazienti di quel medico, ma anche con le loro famiglie.

Padre Matt Linn racconta di una coppia che aveva problemi matrimoniali, era arrivata sull’orlo del divorzio. Il marito era uno psicologo, aveva tentato tutte le diverse tecniche di consiglio che generalmente impiegava con successo nella sua attività professionale e ambedue le parti si sforzavano di applicarle con grande impegno, ma niente funzionava per migliorare la situazione. Alcuni anni più tardi il marito raccontava: il punto di virata del nostro matrimonio avvenne un giorno quando mia moglie tornò a casa da una visita medica; il dottore le aveva detto che probabilmente essa aveva un tumore. La prima cosa che avvenne quando mia moglie mi disse la diagnosi fu che scoppiammo a piangere insieme. Poi mia moglie mi disse due cose: tu sei stato un marito così buono per me che voglio tu mi prometta che quando morirò tu risposerai un’altra e che le darai la stessa felicità che hai dato a me. Aggiunse: tu sei stato così buono con la mia famiglia che voglio tu mi prometta che quando ti risposerai non andrai ad abitare lontano da loro. Questo fu il grande cambiamento nel loro matrimonio: quando il marito e la moglie poterono cominciare a parlare l’un l’altro su come ognuno fosse un regalo per l’altro e quanto ognuno fosse importante per l’altro.

La guarigione non avviene nel momento in cui guardiamo al problema ma quando entriamo in contatto con l’amore che abbiamo ricevuto. Talvolta il ricordo dell’amore che ci può guarire è il ricordo di Dio che ci ama direttamente, anziché attraverso un’altra persona; altre volte invece è il ricordo di come siamo stati amati da qualcuno; è però sempre amore di Dio.

Ce lo insegna una grande mistica: Santa Teresa d’Avila, Dottore della Chiesa. Aveva il vizio della gola; quando servivano il piccione, il pezzo più grande lo prendeva subito lei. Per quanto si sforzasse per dieci anni di mettere sotto controllo il suo disordinato appetito, divenne soltanto più frustrata, finché un Gesuita un giorno le suggerì ciò che Sant’Ignazio dice di fare con coloro che combattono invano.

Bisogna riportarli indietro fino al punto in cui hanno avuto consolazione, cioè quando si sono sentiti più amati, più vivi, più in pace. Santa Teresa disse al Gesuita che lei si sentiva più viva quando pregava sulla Passione di Gesù. Il Gesuita le disse allora di pregare sulla passione: Santa Teresa lo fece e il suo problema col cibo scomparve. Cominciò infatti a comprendere quanto Gesù veramente aveva dato se stesso per lei e per ognuno. Santa Teresa volle anche lei essere così. La forza per cambiare venne da dentro, perché sentiva l’amore di Gesù per lei e lei voleva essere come Colui che l’amava.

Nella prima lettera di San Giovanni si legge: "noi amiamo perché Lui ci ha amati per primo". E’ una delle frasi su cui bisogna riflettere molto perché spesso noi non amiamo perché non ci siamo sentiti amati. Cioè noi abbiamo la forza per amare perché Dio ci ha amati per primo; ciò vuol dire che Dio ci ha amati perfino ancora prima che noi fossimo nati; ancora prima che noi conoscessimo Lui. Lui mi ha dato la Vita, i Genitori, il Battesimo, la moglie o il marito, i figli, gli amici; ma vuol dire anche molto di più: noi non abbiamo nessun potere e nessuna capacità di amare a meno che non siamo stati amati prima da Dio e da coloro attraverso i quali Dio ci invia il suo amore.

Si capisce così perché è molto importante che una madre ami il proprio bambino fino da quando l’ha dentro il seno. (Non è questa l’occasione, ma ci sarebbe qui da esaminare tutto il problema dei 70 milioni di aborti che avvengono ogni anno sulla terra. Bambini che secondo alcuni esperti di questo campo, non riescono nemmeno ad accettare l’amore di Dio perché non sono stati amati dalla propria madre. Pensate le gravi e difficili conseguenze, se questa teoria è vera, che possono venire per tutti noi; il grande peccato dell’umanità di oggi: una nazione più grande dell’Italia viene strappata via prima ancora di nascere).

Da qui capite perché tante persone sono disturbate: perché non si sono sentite amate quando erano bambini. Se ci sono alcuni che sono in questo caso, è questa la loro guarigione: ritrovare l’amore di Dio; guariranno e torneranno a casa trasformati.

Spesso noi cerchiamo di liberarci da questo o da quel problema, mentre Gesù vuole che noi guardiamo a come siamo stati amati, a come la vera crescita stia avvenendo proprio adesso.

Noi possiamo fare questo ogni sera, prima di andare a letto, ponendo una domanda che metta a fuoco come siamo stati amati, cioè: di che cosa sono grato a Dio in questo Giorno? E’ così che si deve cominciare il nostro esame di coscienza ogni sera. Una volta che abbiamo posto attenzione alle cose buone che ci stanno accadendo e in che cosa noi stiamo crescendo, allora possiamo guardare alle cose per le quali non siamo così pieni di gratitudine, e darle a Dio anziché ingoiarle e permettere a queste cose di roderci dentro mentre noi dormiamo.

Qualsiasi cosa che noi ci portiamo dentro la sera, durante la notte, nel sonno, viene sotterrata nel subconscio. Se andiamo a letto arrabbiati con qualcuno, questa rabbia si sotterra; se invece andiamo a letto dicendo "grazie Padre" e sentendoci amati e pieni di gratitudine, anche questo viene sepolto, ma l’amore e la gratitudine lavorano in noi tutta la notte, toccando altre aree del nostro io e riportandole alla vita.

La gratitudine per come siamo stati amati ci dona la vita.

Padre Matt Linn ci racconta che, quando si trovava nel mezzo di una battaglia, andava indietro fino ad un ricordo di quando era stato amato. Racconta come esempio: tre anni fa mi feci un gran male alla schiena cercando di entrare in una piccola vettura. Quando andai dal medico, egli mi sottopose a numerose radiografie perché mi trovò delle escrescenze ossee anomale. Gli esami istologici indicavano che si trattava di formazioni di natura neoplastica, cioè tumore. Il medico mi consigliò l’immediato ricovero in ospedale. Qui la prima notte mi sentii veramente male e pieno di rabbia. Innanzitutto davo la colpa a tutti, poi rivolsi la rabbia contro me stesso per non essere andato prima dal medico, ed infine mi accorsi che ero arrabbiato anche con il Signore. Pensavo: ma come può essere che prego su tanta gente ammalata di cancro e questi guariscono, mentre adesso è il mio turno, i fratelli hanno pregato su di me, gli esami non sono cambiati ed io non sono guarito. Sentivo una grande distanza tra me e Dio, come se qualcosa fosse entrato in mezzo, come se fosse cresciuto un muro, qualcosa che non permetteva alla sua potenza di potermi toccare. Guardai la croce appesa al muro e dissi: Signore io non capisco tutto questo che mi sta accadendo, dove sei? dove ti sei nascosto? Poi cominciai a vedere come Gesù su quella croce stesse attraversando la medesima situazione e gridava: Padre mio, perché mi hai abbandonato? Eppure pensai che proprio in quel momento in cui si sentiva più lontano dal Padre, era più che mai vicino a Dio. Allora ho cominciato a capire che Dio non mi aveva abbandonato, che Dio era con me. Ciò che realmente la sua fedeltà stava facendo per me era l’amore di coloro che mi circondavano; sapevo che mio fratello, i miei genitori e tutti i Gesuiti avrebbero fatto tutto per me. Una pace vera scese su di me insieme ad un modo diverso di sentirmi amato. Più forte di quanto avessi mai conosciuto prima. Di solito facevo esperienza di Dio quando facevo qualcosa per Lui; per esempio se avevo pregato su qualcuno e questi era migliorato o guarito, allora sapevo quanto Dio mi amava perché lo avevo visto amare quella persona e lo avevo visto usare me. Questa volta non c’era niente che potessi fare per il Signore o per i fratelli; tutto ciò che potevo dargli era di stare lì nel letto dell’ospedale e avere bisogno di tutto e di tutti. Ho sperimentato allora che Dio mi amava soltanto perché ero Matt Linn, non perché facevo qualcosa, proprio come mi amava la mia famiglia, che mi amava perché io ero io. Quello fu uno dei momenti basilari della mia esperienza di essere amato da Dio. Se qualcuno mi ferisce ed io ho bisogno di sentirmi amato, torno con la memoria a quel letto di ospedale e rifletto a come il Signore mi ama anche quando non faccio niente di giusto. E quando mi sento consumato e sfinito, mi siedo e torno ancora a quella scena e mi lascio amare, e capisco che non devo fare niente. Se devo prendere una decisione, torno a quella scena e al profondo SI che dissi allora al Signore. Mi ricordo infatti di avere detto al Signor: qualsiasi cosa stia per accadermi sono pronto ad affrontarla con te, anche se si tratta del cancro e della morte. Questo è il SI più profondo che ho detto al Signore, perché quello è stato il momento in cui mi sono sentito amato più profondamente. Le due cose di solito vanno insieme, e se nel tempo presente ho un si da dire, torno con la memoria a quel momento e mi metto in contatto con il mio io più profondo, quello che voleva dare tutto a Dio. Fui operato il giorno dopo quello in cui mi arresi totalmente a Dio e in cui avevo sentito così tanta pace. I chirurghi asportarono quelle escrescenze che la precedente biopsia aveva rivelato maligne, ma non trovarono traccia di neoplasie. Ogni sei mesi, ancora oggi, vado a fare dei controlli radiografici e i risultati sono sempre negativi. Io credo che fui guarito quella notte quando dissi SI al Signore e mi lasciai amare da Lui per quello che sono anziché per quello che faccio. La gratitudine per come venni amato mi dette la vita.

Una volta qualcuno chiese a Sant’Ignazio di Loyola: qual è il peccato più grande? Il Santo pensò per un po’ poi rispose: il peccato più grande è l’ingratitudine. Il Segretario delle Nazioni Unite Dag Hammarshjold aveva questo detto: per tutto quello che è stato. grazie; per tutto quello che sarà: Si.

Chiudete gli occhi e fate scendere dentro di voi quello che il Signore vuole dirvi. Sion ha detto: "il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato. Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani, le tue mura sono sempre davanti a me, i tuoi costruttori accorrono, i tuoi devastatori si allontanano da te".

Mettete la mano sinistra nel palmo della destra. Fate attenzione ad ogni tensione che sta nella vostra mano destra o nel braccio sinistro e aggiustateli finché la mano destra non tenga saldamente la mano sinistra.

Adesso lasciate che la vostra mano destra sia la mano del Padre che non ti dimenticherà mai. Sentite la forza e la sicurezza di quella mano del Padre e godete di come ci si senta bene riposandoci nel palmo della sua mano.

Respirate profondamente e chiedete al Padre di farvi ricordare un momento in cui vi siete sentiti amati in modo speciale da Lui; quando in modo speciale vi siete sentiti tenuti nel palmo della sua mano. Forse è stato un momento in cui avete ricevuto una guarigione fisica od emotiva, o un momento di solitudine o di perdono; quando, insomma, vi siete sentiti in qualche modo amati da Dio. Forse è stato il giorno del vostro matrimonio o della nascita del vostro primo figlio o qualche altro evento gioioso, non importa.

Godetevi quel momento con Lui e ancora una volta ringraziateLo mentre vi riposate nel suo amore e, ogni volta che respirate profondamente ad occhi chiusi, inspirate l’amore del Padre per voi, che vi tiene per mano, che non vi lascerà mai. E quando espirate dite: grazie Padre.

Dovete continuare a vivere quel momento tornando a vivere pian piano alla vostra attività abituale perché dovete interiorizzare quella preghiera. Non si può fare questa preghiera ad occhi aperti perché si tratta di andare a cercare l’interno vostro, non è una preghiera esteriore da fare a voce alta e con canti. Dovete invece cercare quello che l’insegnamento vuole farvi incontrare e che la parola di Dio cercherà di illuminarvi.

Leggiamo dal Vangelo di Matteo (5, 3-12): "3"Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. 4Beati gli afflitti, perché saranno consolati. 5Beati i miti, perché erediteranno la terra. 6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. 7Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. 8Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
9Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. 10Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. 11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi."

Immaginate quale sarà stata la reazione di quelli che ascoltavano Gesù quando proclamava le Beatitudini e in quanti posti le avrà proclamate. Questa parte della Scrittura è la più ostica per tutti noi; risulta una sfida per la nostra mentalità comune. Infatti come può essere, secondo la mentalità del mondo, che quando siamo poveri, quando siamo affranti e pieni di lacrime, quando tutti litigano e noi cerchiamo di portare la pace, che questi siano i momenti in cui possiamo essere più felici; felici voi quando siete perseguitati. La sfida che ci viene dalle Beatitudini è quella di imparare a conoscere che noi siamo amati, e quindi possiamo essere felici anche nei momenti più oscuri della nostra vita. Ciò può avvenire perché, indipendentemente da ciò che ci è successo, quei momenti sono momenti speciali, pieni di doni e di grazie, che finiranno certamente in una celebrazione di gloria per coloro che amano Dio. Scrive infatti S.Paolo ai Romani (8,28): "tutto concorre al bene di coloro che amano Dio".

Quando i due fratelli Linn, Padre Dennis e Padre Matt, lavoravano come terapisti in una clinica di S.Louis, hanno visto, essi affermano, come i momenti più oscuri della vita possano diventare momenti di grazia speciale, di una nuova vita. Essi raccontano: molte persone che venivano da noi erano depresse; chiedevamo loro quando fosse cominciato il loro stato depressivo e loro ci parlavano della morte del coniuge, della difficoltà nel lavoro o di altre crisi molto dolorose. Nello stesso periodo, durante il week-end, noi conducevamo dei ritiri spirituali e chiedevamo ai partecipanti più gioiosi e allegri: quando hai cominciato ad essere pieno di gioia? Per quanto possa apparire strano, questa gente felice, citava le stesse crisi che citavano i pazienti depressi della clinica. Chiedevamo loro: quando avete cominciato a sapere che Dio vi amava ed avete cominciato ad avere nel cuore questa profonda felicità? Una donna in un ritiro ci disse: è successo quando morì mio marito; dovevo aver cura dei miei bambini e di me stessa, dovevo prendere da sola tutte le decisioni, ho dovuto veramente cominciare a dipendere da Dio, ed allora Egli è diventato una realtà per me. Scoprimmo così che non era la crisi a mandare qualcuno in depressione e a guidare invece qualcun altro ad una esperienza religiosa che lo aiutava a diventare vivo e felice. La crisi poteva essere la stessa, ma la differenza era data da come la gente reagiva alla crisi. I pazienti psichiatrici del primo gruppo erano caratterizzati dal risentimento, tornavano sempre su quello che gli era successo, parlando sempre del dolore e rimanendo così incapaci di andare oltre il semplice desiderio che le cose fossero diverse. Coloro che venivano ai ritiri spirituali nel secondo gruppo, erano invece capaci di perdonare chi li aveva feriti. Il gruppo che poteva perdonare e trovare un Dio che ama anche in mezzo ad un momento difficile della loro vita, facevano esperienza di vivere un momento di crescita spirituale e di benedizione.

E’ pericoloso tornare a vivere e pensare sempre alle cose dolorose della propria vita, perché si rischia di cadere in depressione. C’è un modo di guardare le cose che può essere buono e c’è un modo che è sbagliato, che porta alla morte anziché alla vita.

Padre Matt Linn ci racconta una sua esperienza personale, quando cioè un’esperienza molto difficile si cambiò per lui in una benedizione. Dice così: quando avevo sette anni e Dennis ne aveva cinque, avevamo un fratello più piccolo che si chiamava John. Durante quell’inverno John prese una grave bronchite e morì sull’ambulanza che lo portava all’ospedale; sarebbero bastati due minuti in più e sarebbe vivo. Ricordo che mi arrabbiai col conducente, con i dottori e anche con Dio; infine me la presi anche con me stesso. Per quanto fosse illogico e irrazionale, mi convinsi che dovevo aver fatto qualcosa per ferire John, altrimenti Dio non me lo avrebbe portato via. State attenti perché anche dentro di noi ci sono di questi ragionamenti infantili che noi adesso abbiamo dimenticato, ma che stanno ancora lì a lavorare contro di noi. Cominciai così a non piacermi più, a fare sbagli a scuola e a sentirmi inferiore agli altri bambini. Quando arrivai alla scuola Media, mi impegnai a studiare duramente e riuscii a raggiungere voti molto brillanti; ma ancora non mi piacevo. Continuai così per lungo tempo , finché poco dopo essere entrato nei Gesuiti, feci un ritiro di trenta giorni che includeva una Confessione. Non sapendo come dire i miei peccati, scrissi dodici pagine fitte fitte di tutte le cose che non mi piacevano di me, e le consegnai al maestro dei novizi. Allora il Maestro dei novizi mi chiese di condividere con lui soltanto ciò di cui ero più pentito, solo quello che mi dispiaceva di più, e mi accorsi che rispondevo: sento che sono in qualche modo responsabile della morte di mio fratello, e scoppiai a piangere essendo incapace di andare avanti. La parte di me che veramente non mi piaceva era finalmente emersa, dopo anni di tentativi di coprirla con dei bei voti e con tante attività. Il maestro mi strinse tra le braccia e mi disse: il Signore ti perdona e ti ama, e anch’io ti voglio bene. Il guscio che avevo costruito intorno a me cominciò a rompersi, mentre mi sentivo amato nel momento peggiore della mia vita. Da allora cominciai a vedere come Dio mi aveva riempito di doni in quel momento doloroso.

E questo è ciò che voi tutti dovete fare: scoprire come ogni parte dolorosa e perfino i peccati che noi abbiamo commesso nella nostra vita, Dio li trasforma in doni.

Dopo la morte di John la mia famiglia adotto una bambina: Mary Ellen perché tutti noi avevamo così tanto amore in più da dare che potevamo adottare una bambina senza genitori. I doni che tengo più in considerazione nel mio ministero, sono nati anch’essi dopo la morte di John; per esempio mi piace confessare perché per dodici anni ho portato da solo un peso insostenibile di colpa e ne fui liberato nella confessione. Nel confessionale posso sentire il dolore degli altri e voglio che nessuno se ne vada con lo stesso dolore di quando è venuto. Insieme, io e il penitente possiamo odiare il peccato ma amare il peccatore. Mi piace lavorare negli ospedali con i genitori che hanno perduto un figlio, perché io so cosa significa e so che il Signore può portare tanta grazia in quella situazione, perché lo ha già fatto con me. Mi piace fare seminari di guarigione perché so che il Signore può guarire ogni ferita che esiste nella vita di ogni persona e, anzi, più questa ferita è profonda, più Dio può operare. So che se ci perdoniamo, se perdoniamo gli altri e lasciamo che il Signore ci ami, ogni ferita può essere trasformata in un bene, come la morte di John fu cambiata in bene per me. Come risultato di quella profonda ferita, sono stato capace di dare e ricevere molto amore e felicità, e ciò non è altro che la promessa che sta scritta nelle beatitudini.

La promessa delle beatitudini fu messa a fuoco per me, racconta invece Padre Dennis Linn, quando andammo a fare un pellegrinaggio in Terra Santa. I primi giorni eravamo prostrati dalla stanchezza e dalle scomodità; stavamo tutti stipati nelle camere di un ostello anziché nell’albergo di prima classe che ci era stato promesso e per il quale avevamo già pagato. Andammo a fare una passeggiata sulla via dolorosa, ma mentre pensavamo di fare una profonda esperienza sulla via della Croce, fummo invece sommersi da bambini vocianti che vendevano pifferi e cartoline postali. Verso sera, sperando di avere finalmente qualche momento di preghiera, andammo al Monte della Trasfigurazione, ma appena arrivammo in cima al Monte, ci fu comunicato che dovevamo rientrare subito perché l’autobus doveva ripartire dopo mezz’ora. Essere in Terra Santa era diventato quindi per me una esperienza frustrante, finché non raggiungemmo il Monte delle Beatitudini. Lì, ad ogni persona del gruppo fu chiesto di raccogliere una pietra che simboleggiasse le difficoltà e le durezze descritte nelle Beatitudini. Durante la liturgia vidi chiaramente la scelta che avevo davanti: potevo andare a Gerusalemme e fare il mio programma al di fuori del tour stabilito, il che avrebbe voluto dire vedere con comodo tutti i luoghi dove era stato il Signore e godermeli. Ma il Signore non mi stava invitando a vedere i suoi luoghi, ma a stare con Lui e a vivere come Lui aveva vissuto, a non avere un posto dove posare il capo, ad avere i cambiavalute dentro il Tempio, a non avere mai abbastanza tempo per pregare, ecc. ecc. Io volevo vedere i luoghi dove Lui era stato; Lui invece voleva che io stessi con Lui. La scelta che ci si presenta ogni volta che siamo feriti è sempre la stessa: o la scelta di rimanere feriti, oppure quella di lasciare che Gesù ci conduca più vicino a Sé, perché Gesù è passato attraverso le sue ferite e adesso sta passando con noi attraverso le nostre ferite. I momenti in cui dobbiamo fare questa scelta possono essere i momenti più pieni di grazia, perché essi sono l’inizio della nostra scoperta dell’amore di Gesù. San Paolo ci esorta chiaramente: "state sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie (tradotto in italiano: ringraziate), questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi "(1^ Tess. 5, 16-18).

Ascoltiamo adesso in silenzio quanto lo Spirito ci ha detto: per ognuno di noi c’è una parte da ricordare. Con gli occhi chiusi ascoltiamo questa parola dal Vangelo di Luca: "13Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Èmmaus, 14e conversavano di tutto quello che era accaduto. 15Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: "Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?". Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: "Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?". 19Domandò: "Che cosa?". Gli risposero: "Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. 21Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro 23e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l'hanno visto".

25Ed egli disse loro: "Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! 26Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?". 27E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. 28Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: "Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino". Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. 32Ed essi si dissero l'un l'altro: "Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?". 33E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone". 35Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane".

Adesso, ad occhi chiusi, fate attenzione all’oscurità che vi circonda; come i discepoli di Emmaus cominciate a condividere con Gesù i momenti più bui della vostra vita, i periodi in cui siete stati più feriti. Se doveste rappresentare la vostra vita con i suoi alti e i suoi bassi, quale sarebbe il punto più basso?

Adesso aprite la vostra mano destra e chiedete a Gesù di essere con voi in quel buio, nel buio di quella situazione; dite a Gesù come eravate feriti, e condividete con Lui tutto il dolore e l’annientamento che sentivate allora.

Lasciate che Gesù, che ha sperimentato ogni ferita, sia essa la morte di una persona amata, il tradimento di un amico, qualsiasi cosa, divida il suo dolore con voi. Il bisogno dei discepoli permise loro di sviluppare l’amicizia con il Forestiero Gesù, poiché condivisero con Lui la loro povertà e la loro delusione.

Forse desiderereste ringraziare il Padre con Gesù, per tutti i modi in cui la vostra povertà e sofferenza ha fatto nascere i doni degli altri e ha fatto approfondire l’amicizia, mentre voi chiedevate aiuto. Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio.

Dopo aver appreso da Gesù la sua interpretazione delle Scritture e dopo aver spezzato il pane con Lui, i discepoli tornarono a Gerusalemme a portare la pace a quelli che li avevano feriti, a quelli che li ferivano ancora nello stesso modo. Beati i puri di cuore perché vedranno Dio.

La ferita dell’amore tradito da persone in cui tutti noi avevamo posto la nostra fiducia lasciò vuoti i discepoli di Emmaus, con una grande sete delle Scritture, con la fame di spezzare il pane con un Gesù che era amico intimo, che poteva condividere con loro come anche Egli fosse stato ferito in un modo analogo.

Allora rendiamo grazie al Padre insieme a Gesù per qualsiasi modo in cui la situazione dolorosa che avete sperimentato vi ha aiutato a sapere che non potevate più andare avanti da soli, che avevate bisogno di ricevere il pane e la forza da un Dio che è infinitamente e intimamente amico.

Ringraziate anche per il modo in cui essere stati feriti dagli altri vi ha aiutato ad essere Gesù, specialmente quando cominciate a perdonare con maggiore immediatezza e senza porre condizioni. Ringraziate di questa beatitudine che voi cominciate a sperimentare adesso.

Avviatevi verso la fine di questa preghiera lasciandovi condurre da Gesù, lentamente, dall’oscurità in cui vivevate, alla luce; mentre durante il canto in lingue che seguirà aprite lentamente gli occhi . Nel frattempo rendete grazie insieme a Gesù per tutti i modi in cui il Padre porterà più luce nella vostra situazione in futuro.

Ringraziate il Padre e ascoltate quanto è ricco il suo amore per ciascuno di voi.